Celti e Romagna. Un falò per festeggiare la primavera
Quando parlo delle origini della nostra terra, i romagnoli stentano ancora a credermi, forse perchè è difficile pensare che i propri antenati siano un popolo tanto misterioso quanto complesso. Altra ragione è che in pochi si rassegnano al fatto che la nostra storia, le usanze e persino il dialetto romagnolo sia frutto dell’incontro tra tradizioni del mondo nordico con altre della cultura italica, etrusca e latina. La storia della terra di Romagna ha infatti origini lontane, popolata da Etruschi ed Umbri, fu poi conquistata intorno al 350 a.c. da un popolo che arrivava direttamente dal nord Europa: i Celti. Tutti ne hanno sentito parlare soprattutto perchè citati spesso nei film di genere fantastico, ma in pochissimi sanno con esattezza chi furono veramente.
Eppure infondo ai nostri cuori, noi romagnoli lo sappiamo bene: non siamo figli solo della tradizione latina e del papato, ma le basi del nostro folklore sono state costruite mattone su mattone, da un popolo pagano. Ecco che dopo più di 2500 anni, arriva a noi quella memoria lontana, tramandata solo verbalmente, scomparsa nel silenzio della sconfitta dei Drudi, ma ancora viva tra le genti di Romagna. Uno dei riti più affascinanti e coinvolgenti è quello che si tiene nel mese di marzo e decreta il passaggio dall’inverno alla primavera. L’incontro dell’antica tradizione pagana con la più nuova religione cristiana, da vita a quello che oggi chiamiamo fogheraccia. Si tiene solitamente nel giorno di San Giuseppe, quando nelle aie si accendono i falò, simboli di rinascita e buon raccolto.
Ostara, l’equinozio celtico
Marzo è indubbiamente il mese della rinascita della natura, quando l’aria si fa meno fredda e dalla terra iniziano a spuntare i primi fili d’erba. Le giornate sono visibilmente più lunghe e alla mattina il canto degli uccelli diventa fragoroso. E’ un piacere notare i primi fiori spuntare, le gemme degli alberi crescere e spesso mi fermo a guardare i gatti che si rotolano al sole caldo di mezzogiorno. Nonostante marzo sia “pazzerello” come dice il detto, è indiscutibile che la primavera è ormai arrivata e con lei Ostara, la rinascita della natura, l’attuale Pasqua. Il passaggio dal freddo dell’inverno al tepore primaverile, celebrato da tutte le culture antiche, non aveva una data ben precisa, tutto dipendeva infatti da quanto il freddo decideva di protrarsi. La fine dell’inverno veniva quindi festeggiata tra Imbolc a febbraio, l’antica festa del culmine dell’inverno, e Ostara che si teneva in aprile.
Per gli antichi, gli equinozi d’autunno e di primavera, erano un momento di massima importanza, al punto che grandiosi monumenti ne sottolineavano l’avvenimento. Basti pensare alla Sfinge, al Tempio del Sole di Cuculcan, a Stonehenge che visibilmente indica l’allineamento geometrico tra la Terra ed il Sole. Durante l’equinozio infatti, le ore di luce sono uguali a quelle di buio: è il momento dell’equilibrio tra le forze spirituali e quelle terrestri. Questo segna l’inizio di un periodo in cui arrivano sulla Terra le grandi energie, quelle che hanno il potere di “nutrire”. I cerchi di pietre sono tutt’ora presenti sul territorio celtico della Gran Bretagna, questi erano luoghi sacri dove all’interno i sacerdoti Druidi, praticavano i riti solenni di festeggiamento.
Celti Romagna falò primavera
Nella cultura celtica l’equinozio di primavera che avviene nei giorni tra il 19 e il 23 marzo, è forse quello più importante. Durante queste giornate, i Celti celebravano l’arrivo della bella stagione, con riti propiziatori, offerte, canti e balli per ingraziarsi la Dea, affinché portasse campi rigogliosi e buon raccolto. Ostara è una festa molto vicina all’equinozio, considerato uno degli otto sabba, ovvero una delle otto festività, che nella tradizione pagana scandiscono lo scorrere dell’anno. E’ anche la festa di Eostre, divinità femminile teutonica legata alla fertilità, alla nascita e all’est, il punto cardinale da cui sorge il sole. La festività di Ostara ed Eostre sono strettamente collegate alle parole, rispettivamente in lingua tedesca e inglese, che indicano la Pasqua: Oster e Easter. Ma questa è una lunga storia e ve la voglio raccontare un’altra volta.
Molti caratteri simbolici associati al “concetto di primavera” gravitano nei periodi tra Imbolc (1° febbraio), data dell’inizio della stagione che si risveglia, e Beltane (1° maggio), culmine e passaggio verso la grande luce dell’estate. Sebbene le Quattro Feste del Fuoco celtiche, chiamate le Porte del Ciclo della Terra, fossero le occasioni rituali preminenti dell’anno, sappiamo che le feste solari erano altrettanto importanti.
Così come per questi sabba, anche durante l’equinozio uno dei riti maggiori era proprio l’accensione del falò. Ogni territorio ha i suoi miti e le sue tradizioni e anche la Romagna non è da meno. Infatti, nelle zone della Romagna rurale, si celebrava la rinascita e la rigenerazione sia della natura che dell’uomo, attraverso l’accensione di un fuoco che veniva lasciato bruciare per tutta la notte, fino all’alba. L’arrivo della primavera era fondamentale per i contadini, sanciva la semina e la nascita degli agnelli, particolarmente cari ai Celti, e di tutti altri animali dell’aia.
Celti Romagna falò primavera
Il falò appartiene quindi all’usanza dei riti silvestri pagani, che attraverso il rituale di purificazione e di consacrazione, celebrano l’arrivo della bella stagione invocando una buona annata per la raccolta nei campi. Durante la conquista dell’Impero romano, la tradizione pagana dei fuochi continua. Circa 2500 anni fa, la prima luna piena del mese di marzo, dedicato al dio Marte, segnava l’inizio del nuovo anno. Quei giorni tra la fine e l’inizio dell’anno erano ritenuti un periodo cruciale, il fatto che ancora oggi si festeggi tra febbraio e marzo ci indica quanto pagana sia l’usanza dei Lom a Merz, i lumi di marzo.
I lumi, infatti, non sono altro che falò accesi in onore di Cerere, la dea latina della terra e della fertilità. Cerere veniva omaggiata dalla popolazione in cambio di una annata prolifica per le coltivazioni. E’ interessante vedere l’affinità con le feste della religione cristiana. L’Annunciazione della Vergine del 25 marzo è indicativa: le principali ricorrenze mariane segnalano sempre la presenza, nella stessa data o nei giorni vicini, di una celebrazione incentrata sulla Dea pagana. Chi era costei? Ovviamente la Madre Terra, fruttifera, portatrice di vita e creatrice di ogni cosa.
La magia è tra di noi
I fuochi accesi sulle colline risplendono nella notte oggi come allora e anche se non ci sono più le donne druidiche con le coroncine di fiori freschi che fanno danzare le vesti bianche e suonano campanelli, il potere del rito rimane immutato. Si celebra così la magia di un nuovo inizio, la trasformazione che ancora una volta la natura compie, nonostante tutto, senza fermarsi mai. L’equinozio di primavera è sempre stato la partenza di un nuovo anno, i Druidi lo chiamavano infatti il Mattino del Mondo, quando la luce crescente e chiara rende il buio un ricordo che sfoca nella memoria. E’ questo il periodo in cui si aprono le finestre in casa e si inizia a fare le “pulizie di primavera” che sono più di un semplice lavoro fisico, incarnano un vero e proprio retaggio ancestrale.
Questo periodo mi ricorda quando da bambini, nelle prime giornate miti, uscivamo finalmente da casa per giocare nello stradino, così lo chiamavamo. Era una festa raccogliere le margherite, le violette, tirando poi con quel pallone che immancabilmente ci veniva requisito dalla vicina. Le giornate non finivano più dentro casa, ci si salutava all’ora di cena vicino al grande cancello e con la felicità nel cuore, mi incamminavo ogni sera serena, verso casa, pensando a cosa la mamma avesse preparato per cena. Poi arrivavano i preparativi per la focheraccia, i ragazzi più grandi aiutavano a impilare la legna sulla grande catasta nell’aia del vicino. Noi piccoli varcavamo il vecchio cancello sulla strada per entrare nel grande orto che preannunciava un’immensa aia bianca, davanti alla vecchia casa contadina.
Celti Romagna falò primavera
Ero impressionata da tutto quello spazio, sempre tentata di curiosare ovunque, anche quando una certa soggezione mi tirava indietro, ogni volta. Da piccoli non ci si chiede mai qual è il significato dei gesti, dei riti che vengono compiuti, si fanno e basta, vi si partecipa senza sapere. Ora sono consapevole che stavo partecipando ad un rito antico quanto il mondo, retaggio di culture che paiono lontanissime dalla mia, eppure ne sono figlia e parte indissolubile. Si perchè qui da noi in Romagna, ogni anno nel mese di marzo, si da vita a quella tradizione ereditata dal paganesimo celtico, intrecciata alla religione cristiana. I riti celtici che propiziavano la fertilità vennero, nei secoli, assorbiti dal calendario romano, rimanendo comunque uniti indissolubilmente alla più antica religione pagana.
Lom a Mêrz: Lume a Marzo
C’è chi lo chiama fuoco di san Giuseppe, chi fogheraccia, anche fugaràza o focarina come dicono a Cesenatico, ma sempre di un rito celtico si tratta. Per buona parte dell’inverno si allestisce una catasta di legna con i vecchi rami degli alberi e nella sera della vigilia di San Giuseppe, il 18 marzo, la si fa bruciare. Il fuoco deve ardere per tutta la notte, dicono che per più tempo il fuoco rimane acceso, più il raccolto dell’anno sarà abbondante. In tutta la Romagna si accendono dei falò, dalla costa all’entroterra e la popolazione si ritrova lì davanti con un bicchiere di vino, una piadina e spesso un po’ di musica per inaugurare nel modo migliore, la stagione che sta per arrivare.
In molte zone dell’entroterra i grandi falò si accendono prima, alla fine di febbraio o i primi 3 giorni di marzo, festeggiando, come di consueto, la fine dell’inverno. E’ una tradizione popolare, simile ad una cerimonia e se nei campi privati, nei crocicchi o davanti alle chiese, ognuno porta qualcosa da bere e da mangiare, nelle piazze e sulle spiagge, il Comune pensa ad allestire un piccolo buffet. Anche quest’anno come da tradizione pagana e marinaresca, si accenderanno i falò sulla costa di tutta la Romagna che per una notte, sembrerà un cielo rivoltato. Se in campagna si raccolgono sterpaglie e sarmenti, sul mare si bruceranno i tronchi portati dalle burrasche invernali.
Celti Romagna falò primavera
La sera del 18 marzo all’imbrunire, qui a Cattolica ci si ritroverà al porto per fare festa e celebrare un’occasione di incontro tra generazioni. Oggi come allora i genitori porteranno i bambini in giro per il paese a vedere tutte le fogheracce accese per scegliere poi la più bella. Un bicchiere di sangiovese, un pezzo di piadina o una fetta di ciambellone, un pò di musica stile Casadei e la gazòja è fatta. Poi si sa, un bicchiere tira l’altro ed ecco che i più impavidi si mettono a saltare il fuoco, incuranti di bruciacchiarsi le scarpe. Da piccola le nonne cantavano attorno al fuoco delle filastrocche stupende, in dialetto, che parlavano di guerra e di marinai. E’ ancora un’emozione per me pensarci, quelle sensazioni le ho stampate nella memoria, perchè immancabilmente ogni anno, anche io sentivo l’euforia, il rinnovo che la primavera stava portando.
Anche oggi si canta, si balla, si chiacchiera scaldati dal crepitio del fuoco e almeno per quella sera, ogni cosa è uguale a quella di allora. E’ proprio un momento straordinario, suggestivo, che crea una relazione naturale tra uomo e natura, tra esseri viventi e divino. Dovremmo ascoltare e gioire di queste energie non solo una volta all’anno, ma fermarci spesso a cercarle in ogni gesto che facciamo. Chi non starebbe ore a guadare il fuoco? Con le sue fiamme alte che propendono verso il cielo, pare un essere vivo che rilassa e calma anche gli spiriti più inqueti. Quando si capisce l’importanza delle proprie tradizioni secolari che portano dentro riti e folklore della terra, si diventa più forti e consapevoli di se stessi.
Celti Romagna falò primavera
E poi ci sono i ricordi, quando era il tempo dei Lom a Mêrz, i lumi di marzo e il nonno della mia amica, seguito da uno stuolo di bambini chiassosi, percorreva prima di sera i confini della sua possione. Impugnando un forcone camminava spedito al limitare della rete di recinzione, tenendo alti i primi rami infuocati presi dal grande falò, recitando sommesso una cantilena:
Lom a Mêrz, lom a Mêrz, / ogni spiga
fëza un quêrt; / un quêrt, ‘na quartarôla, / tri miþen di Cutignôla, / d’impinì
e’ magaþen / e fê cuntent e’ cuntaden.
Una chiara invocazione alla luna, in cambio di un raccolto abbondante, retaggio sicuramente di un’antica tradizione contadina, dato che pur con alcune differenze dialettali, viene cantata in tutta la Romagna. I lumi non sono altro che i falò accesi in onore della Dea ed è così che qui da noi si da ancora oggi il benvenuto al nuovo anno. Non è forse magia questa?
Articolo di Lara Uguccioni
Il fatto che le antiche tradizioni pagane siano state inglobate nei rituali cattolici e rinnovate con una mano di vernice (piuttosto sottile) non è per me un fatto nuovo ma ammetto che non sapevo che in Romagna ci fossero ancora tradizioni legate a Ostara.
Io sono in Emilia e qui da me a Parma è Litha il periodo che maggiormente la fa da padrone nella rivisitazione delle festività pagane.
Il nostro giorno di festa comunitaria non è San Giuseppe ma San Giovanni e non abbiamo fuochi da accendere ma un grande baccanale che ricorda i festeggiamenti del raccolto.
Tutti spostano i tavoli nelle strade per un’abbuffata di tortelli a cielo aperto fino a notte fonda, in modo da poterci bagnare nella rugiada benaugurante di quella notte che, tra l’altro, è anche quella destinata ad altre tradizioni, come l’immancabile raccolta delle noci per il nocino o delle spighe che porteranno fortuna alla casa durante i mesi successivi…
Detto questo facciamo uno scambio culturale? Tu mi inviti per il prossimo Ostara e io ti invito per Litha e festeggiamo!
Ovvio Kry che facciamo lo scambio culturale, soprattutto perchè vedo che come me, te ne intendi di paganesimo. E’ sempre un piacere confrontarsi con chi conosce l’antica religione 🙂
Sono da sempre attratta da tutti i riti magici, prodotti da religioni animiste, pieni di fascino e poesia. I celti avevano usanze meravigliose ed molto bello che si celebrino ancora oggi. Il falò rappresenta da sempre una fine e una rinascita e, si spera, che questa primavera porti grandi notizie di pace e di serenità. Bellissimo articolo.
I falò sono una costante di questo periodo in quasi tutte le regioni italiane. Anche qui da noi Si usa questo rito propiziatorio, e nelle cittadine vicine. Mi piacerebbe però vedere anche qualche evento simile fuori dalla mia regione, e la Romagna da come la racconti sembra fare proprio al caso mio.
Mi piacerebbe ammirare queste tradizioni popolari di persona e chissà, magari ci riuscirò un giorno dato che vivo in Emilia. Fai bene a condividere certe usanze così antiche, affinché non si perdano mai.
La penso esattamente come te Libera 🙂
Che articolo bellissimo Lara! E che bella tradizione avete in Romagna, a Roma purtroppo non abbiamo niente di simile, i Celti non erano arrivati fin qui!
A Roma ne avete altre Marina, i latini ci sapevano fare parecchio con le feste 😉 eheheh
Adoro i falò, li trovo molto suggestivi. So che in certe regioni essi vengono utilizzati per celebrare alcune festività (per esempio, in Veneto festeggiano la Befana con un falò in cui bruciano la “vecchia”), ma questa tradizione romagnola non la conoscevo.
Spero ti sia piaciuta Teresa 🙂
Anche io sono romagnolo e da noi a Cesena si fa lo stesso, falò e fisarmonica nell’aia del nonno. Serate magiche..
Mi piace sempre scoprire tradizioni antiche come quella della fogheraccia, specialmente quando sono radicate nelle persone e non sono a puro uso turistico.
Esatto Teresa, la penso come te anche io!
Qui, nel Regno Unito, fanno qualcosa di simile anche vicino Stonehenge! Dev’essere davvero particolare assistere ad uno dei falò e festeggiare insieme l’antica festa celtica.
Sarà stupendo là vicino a Stonehenge! Un giorno verrò a vedere il sito, adoro i cerchi di pietre e la magia antica, credo che in me ci sia una buona parte di sangue celtico ehheeheheh
Ciao sai che c’è una realtà in Ravenna a livello druidico !!!! Si è un associazione culturale storica riconosciuta in regione che segue la filosofia druidica e celtica se ti va io sono la vice presidente possiamo farci due chiacchiere
Ma che bello Esmeralda! Non sapevo che c’era una realtà del genere nel ravennate, ci sentiamo volentieri, mi piace moltissimo la cultura del mondo celtico, ne parlo spesso nei miei articoli.
Amo particolarmente la cultura celtica e sono un pò invidioso che voi romagnoli avete nel sangue questo antichissimo e meraviglioso retaggio! Scrivi altri articoli Lara, li leggerò davvero volentieri.
Wow Ma che bell’articolo! Non conoscevo questa bellissima tradizione; un po’ mi ricorda quelle che si tengono in Grecia
Non avevo mai sentito parlare di questa festa ed è veramente originale. Sicuramente cercherò di organizzarmi per vederla il prossimo anno. Grazie per le preziose informazioni.
Grazie a te Lucia che sei passata qui a leggermi. Ovviamente ti aspettiamo in Romagna l’anno prossimo!
Interessante scoprire le origini del popolo di Romagna, forse la gente più solare, divertente e aperta, del nord Italia, un concentrato di simpatia unico e molto difficile da trovare altrove
Hai ragione Bru, apprezzo oggi più che da giovincella, il fatto di essere romagnola. Mi sono scoperta attaccata alla mia terra e alle tradizioni che fanno parte dei miei ricordi di bambina. L’Italia è tutta bella, siamo un paese antichissimo e meraviglioso, anche s certe volte ce lo dimentichiamo.
Adoro le tradizioni legate al fuoco! Noi ne abbiamo una simile qui nel ponente ligure, ma legata a un’antica leggenda! Sempre suggestivo!
Trovo meravigliose le tradizioni Paola, qui in Italia ce ne sono tantissime, vale la pena farle conoscere.
Wow, che articolo incredibilmente interessante e magico, davvero complimenti!
Grazie Sara di essere passa di qua 🙂