Racconti

Verso le stelle. Un sogno americano per Jack Freeman

L’ultimo episodio di La strada verso le stelle, un racconto a puntate di Lara Uguccioni, ci porta in una Los Angeles vibrante e piena di speranze nei primi anni ’60 del secolo scorso. Jack è cresciuto, e con lui i sogni che sembravano lontani si fanno sempre più vicini. La famiglia Freeman continua il suo viaggio, questa volta non sulla Route 66, ma verso un futuro fatto di scelte importanti e nuovi orizzonti È il capitolo delle decisioni e dei primi grandi passi, dove il cielo non è il limite, ma l’inizio di qualcosa di straordinario. (trovi tutti gli episodi a fine pagina)

Indice dei capitoli:

Sono gli ultimi giorni di dicembre e Los Angeles sembra sospesa tra le luci natalizie che svaniscono e i calendari pronti per essere appesi. Jack, alto e irrequieto è seduto nella cucina della nuova casa dei Freeman, con una tazza di cioccolata calda tra le mani e la mente che corre avanti e indietro tra tutte le possibilità dell’anno che sta arrivando. Davanti a lui un opuscolo informativo aperto a metà con le parole “Progetto Spaziale” che gli lampeggiano davanti agli occhi come una promessa. Vicino c’è un altro pezzo di carta: l’invito degli amici, scritto in fretta su un biglietto piegato, di un viaggio estivo verso San Francisco.

L’idea lo elettrizza: giornate in strada, canzoni che passano alla radio, la libertà di scoprire il mondo fuori dal finestrino della International Travelall scassata di Mike. Ma una parte di lui non smette di tornare a quel programma estivo legato alla corsa allo spazio. La sua mente scivola via tra il desiderio di esplorare un pezzo di costa californiana a un sogno più vasto, lontano, fatto di stelle e di pianeti. La voce di sua madre, Sadie, interrompe il silenzio. “Jack, sai che certe scelte non si fanno solo col cuore, vero?” La voce è dolce, ma in lei si percepisce il consiglio e l’esperienza. Gli anni l’hanno resa più saggia, consapevole di quanto suo figlio sia ormai cresciuto.

Jack guarda l’opuscolo e poi il biglietto degli amici, sorridendo con una sicurezza nuova. Non ha ancora deciso quale strada percorrere, ma sa che ognuna di esse lo condurrà più vicino a ciò che è destinato a diventare.

California Dreamin’ – Sognando la California

Casa dei Freeman, Los Angeles, Dicembre 1961 – La nuova casa dei Freeman è modesta, con le pareti color pastello ben ridipinte e un piccolo giardino sul retro pieno di piante che Sadie cura con la stessa attenzione che mette in ogni cosa. Una casa tutta loro, indipendente e solidale. Ogni mattina, Sadie osserva con orgoglio le scandole del tetto scintillare alla luce del sole, prima di chiudere la porta dietro di sé per andare al lavoro. Sadie si sistema il cappello prima di uscire, gettando un ultimo sguardo alla cucina inondata dal sole mattutino. Sa che Jack e Peggy saranno già a scuola e che Howard oggi scenderà in officina più tardi.

Da qualche mese lavora come segretaria presso uno studio legale; non è più il suo vecchio lavoro di stenografa, ma è soddisfatta di quel ritmo quotidiano che la fa sentire utile anche fuori casa. Howard, anche se non lo dice, la osserva con un po’ di perplessità, tra il timore che si affatichi troppo e un certo orgoglio silenzioso per il coraggio della moglie. Con uno sguardo soddisfatto, Sadie chiude la porta e cammina verso la fermata del bus, i pensieri che corrono avanti e indietro. “Chissà che cosa s’inventerà questa volta, il mio Jackie. È cresciuto così in fretta.” Al pensiero di Jack, si chiede se il loro ragazzo sa quanto faticosamente si siano costruiti questa vita, un piccolo angolo di mondo a Los Angeles.

Howard si versa un ultimo caffè. La casa è tranquilla e mentre si guarda intorno, sente una gratitudine familiare e silenziosa per quella vita che ha dato alla sua famiglia. Rimane seduto qualche istante in più, avvolto dal silenzio della casa. Passa una mano sulla tazza e si lascia scivolare nei pensieri, come fa spesso la mattina presto, quando nessuno lo vede. Gli anni sono passati da quando sono arrivati ​​in California. Quanti chilometri avevano percorso sulla Route 66, e quanti pensieri l’avevano assillato lungo quella strada polverosa, con i bambini addormentati sul sedile posteriore e Sadie al suo fianco. Ogni tanto, un tremore gli scuote ancora la mano, come se le decisioni prese allora gli tornassero a chiedere il conto.

Ricorda le notti passate nei motel economici, con il ronzio del ventilatore sopra le loro teste, sperando che quella strada dritta portasse davvero a una nuova vita, come gli avevano raccontato. In Oklahoma, aveva lasciato tutto: la terra, la famiglia, una fattoria che portava i segni della sua infanzia. Eppure, per quanto fosse stato difficile, non riusciva a pentirsene. Los Angeles, con il suo caos e la polvere, il rombo dei motori delle auto da corsa, l’odore pungente della benzina e il grasso che sembrava impossibile lavare via dalle mani, gli aveva dato qualcosa che l’Oklahoma non poteva offrirgli: una possibilità.

Rivede il primo giorno in cui Sadie ha messo piede in questa casa. Avevano risparmiato ogni centesimo per permettersi quell’angolo tutto loro. Ricorda il sorriso un po’ incerto di lei mentre toglieva le tende vecchie e metteva mano al giardino sul retro, piantando fiori e aspettando che crescessero.

All’inizio lui non ci vedeva il senso, ma ora quel piccolo giardino era un rifugio per tutti loro. Perfino Jack, che a volte gli dava l’impressione di volare un po’ troppo alto senza mai mettere i piedi sulla terra, ogni tanto scendeva a fare un giro tra le aiuole. Howard sospira, finendo l’ultimo sorso di caffè. Sa che sono cambiate tante cose, e a volte si sorprende a pensare a come sarà il domani per loro. Ma c’è una cosa di cui è certo: ha fatto di tutto perché i suoi figli crescessero in un luogo migliore, e quando guarda Jack e Peggy, capisce che, nonostante tutte le difficoltà, questo sogno americano non è stato solo una promessa, ma una realtà che ha costruito giorno per giorno.

È ora di tornare al lavoro, l’officina lo aspetta. Howard posa la tazza sul tavolo e si alza, stirandosi le spalle un po’ irrigidite. Il sole è ormai alto e sa che tra poco l’officina inizierà a riempirsi di clienti e di ragazzi che cercano un lavoretto. Passando davanti alla finestra, nota qualcosa di diverso: una Chevy scintillante parcheggiata poco più avanti, con un uomo in giacca e cravatta che sembra aspettare. Howard aggrotta le sopracciglia, chiedendosi chi possa essere quell’uomo elegante, decisamente fuori posto in quel quartiere di officine e piccole abitazioni. Forse un cliente, o magari qualcuno venuto per Jack? La scuola ha parlato di nuovi programmi per studenti, qualcosa che riguarda le scienze, ma Howard non ha avuto ancora modo di chiedere a suo figlio di cosa si tratti.

Con un ultimo sguardo alla Chevy parcheggiata, si dirige verso l’officina. Non sa ancora che quell’incontro potrebbe cambiare molto per la sua famiglia. Ma mentre si china per aprire la porta d’ingresso, un misto di curiosità e un presentimento quasi familiare gli si annida nel petto.

Blowin’ in the Wind – La risposta soffia nel vento

Officina di Sammy, Los Angeles, Dicembre 1961 – Howard esce dall’officina asciugandosi le mani con uno straccio, gli occhi ancora puntati sull’uomo in giacca e cravatta che si guarda intorno con aria paziente. La Chevy scintillante è parcheggiata in modo impeccabile, quasi in contrasto con le auto smontate e le lamiere sparse che affollano l’officina. Howard si schiarisce la voce e si avvicina. “Posso aiutarla, signore?”  L’uomo si volta, sollevando il cappello con un gesto lento, quasi misurato. “Howard Freeman?” La voce è profonda, il tono cordiale, ma Howard nota subito un accento, forse del Midwest, che lo rende più formale. “Mi chiamo Richard Hayes. Sono qui per parlare di suo figlio, Jack.” 

La sorpresa attraversa il volto di Howard come un’ombra, ma mantiene la compostezza, cercando di capire. Jack? Perché mai qualcuno come quest’uomo dovrebbe volere qualcosa da Jack? Non si sbilancia, limitandosi a un cenno. “Sì, è mio figlio. Di cosa si tratta, signor Hayes?”  Hayes sorride, tirando fuori dalla tasca interna una busta sigillata. “Sono qui a nome del programma scolastico per giovani talenti. Abbiamo notato l’interesse di Jack per le scienze e, bene, potrebbe essere un’opportunità per lui. Una grande opportunità.” Howard guarda la busta come se contenesse un piccolo mistero, un seme che potrebbe dare frutti inimmaginabili.

La apre, sentendo il fruscio della carta sotto le dita, mentre Hayes prosegue: “Il nostro programma offre a studenti promettenti la possibilità di collaborare a progetti scientifici d’avanguardia. Potrebbe aprirgli delle porte, se è pronto per questa sfida.”

Howard annuisce lentamente, il cuore che batte un po’ più forte. Non sa se Jack sia pronto, né se lui stesso sia pronto a lasciarlo andare, ma dentro di sé sente che questa opportunità potrebbe essere il sogno americano che avevano sempre immaginato, ma in una forma completamente diversa.

Howard è ancora immerso nei pensieri mentre Mr. Hayes gli parla dei dettagli del programma per Jack, ma una parte della sua mente vaga, preoccupata e incerta. Jack è giovane, forse troppo e l’idea che può allontanarsi per un progetto così ambizioso lo scuote. Ha sempre saputo che suo figlio era brillante, ma in fondo al cuore sente l’inquietudine di chi ha lottato per costruire una nuova vita qui, in California, e ora teme che possa svanire. Hayes, percependo la tensione di Howard, aggiunge: “Sappiamo che potrebbe essere una decisione difficile, Mr. Freeman. Perché non parliamo meglio del programma insieme a Jack? Sarò più che felice di rispondere a qualsiasi domanda possa avere.”

Howard è ancora immerso nei pensieri mentre Mr. Hayes continua a parlare dei dettagli del programma. Improvvisamente, sente un rumore leggero e si volta, scorgendo suo figlio sulla soglia dell’officina. Jack è rientrato a casa per un’ora libera tra le lezioni e sembra sorpreso di trovare suo padre in compagnia di uno sconosciuto che, nonostante l’aspetto distinto e la Chevy impeccabile, sembra fuori luogo rispetto ai clienti abituali dell’officina. “Papà?” chiede, con una curiosità mista a perplessità nella voce. Non è raro vedere clienti benestanti, ma c’è qualcosa di diverso in quell’uomo e nell’intento formale con cui sembra rivolgersi a suo padre.

Howard si schiarisce la voce. “Jack, questo è il signor Hayes. È venuto per parlare di… un’opportunità speciale per te. Qualcosa a cui hai lavorato tanto.”  Rivolge al figlio uno sguardo che cerca di tenere a bada la sua stessa preoccupazione. Hayes tende la mano a Jack e, nel fare questo gesto, il ragazzo sente l’improvviso peso di un momento decisivo. Jack si ferma, incerto, mentre Hayes gli sorride con un’espressione gentile ma decisa. “Jack Freeman, immagino. È un piacere conoscerti. Sono Richard Hayes e lavoro con il programma scolastico per giovani talenti in scienze e tecnologia. Abbiamo ricevuto la tua domanda per il Progetto Spaziale.”

Jack sgrana gli occhi, sorpreso e incredulo. “Davvero?” balbetta, lasciando cadere a terra il quaderno che aveva sottobraccio. In quel momento, una miriade di pensieri gli attraversa la mente: le lunghe notti trascorse a leggere, la voglia di capire cosa c’è oltre, tra le stelle e quel bisogno che sente crescere in lui di conoscere il mondo in modo diverso, meno ancorato alla realtà quotidiana e più vicino ai suoi sogni. Non aveva mai immaginato che qualcuno si sarebbe presentato di persona per parlare di quel programma, tantomeno qualcuno così distinto. Eppure, eccolo lì, un uomo con una cravatta elegante, che tiene in mano quel quaderno come se fosse qualcosa di importante, di vero.

È quasi troppo da credere. “Davvero,” conferma Hayes, raccogliendo il quaderno e porgendoglielo con un sorriso. “La tua richiesta è stata accettata e vorremmo invitarti a partecipare al programma estivo. Sarai in grado di collaborare con altri studenti e scienziati per un progetto dedicato alla tecnologia aerospaziale.”

Jack lo fissa, la mente che sembra incapace di afferrare davvero la portata di quelle parole. Per un attimo, tutto ciò che è stato fino a quel momento – il ragazzo irrequieto, sognatore e affamato di scoperte – sembra scivolare via, lasciando spazio a un Jack nuovo, con un piede già dentro quel mondo che ha sempre immaginato da lontano .

Howard, accanto a lui, osserva ogni movimento, ogni parola. Cerca di leggere nel volto di suo figlio la risposta ad una domanda che lui stesso ancora non sa se vuole davvero conoscere. Si rivede ragazzo, con sogni che la vita e la famiglia gli hanno chiesto di accantonare. Aveva accettato con determinazione, senza rancore, ma in quel momento, vedendo l’entusiasmo e la luce negli occhi del ragazzo, sente affiorare un senso di inquietudine misto a orgoglio. Capisce che questo momento rappresenta qualcosa di immenso per il figlio, ma allo stesso tempo lo sente allontanarsi, come se quella “grande opportunità” fosse anche il segno di una distanza che potrebbe crescere.

Howard si sforza di sorridere, pur con il cuore appesantito. “Hai sentito, ragazzo. È… incredibile,” dice, appoggiando una mano sulla spalla di Jack, cercando di mantenere la calma. Quella mano è come un’ancora, un legame che teme di perdere. “Ma spero tu capisca cosa comporta una scelta simile.” Jack annuisce, anche se ancora confuso. Nella sua testa riecheggiano parole come “tecnologia”, “scienza”, “spazio”. Tutto si sovrappone, eppure tutto sembra acquistare un senso nuovo, come se il futuro avesse iniziato a prendere forma davanti a lui. E nel fondo della sua mente, nascosto tra i sogni e le fantasie, sente anche il peso di ciò che lascerebbe dietro di sé.

Hayes, comprendendo la complessità del momento, aggiunge con delicatezza: “Capisco che potrebbe essere una decisione importante, sia per Jack che per la famiglia. Prendetevi del tempo per pensarci, non c’è fretta. Ma sappiate che questa è una di quelle opportunità che possono davvero fare la differenza.” Howard guarda l’uomo e poi Jack, cercando di scorgere la stessa voglia di scoprire il mondo che lui stesso aveva da ragazzo, e che la vita aveva poi trasformato in un amore profondo per le piccole cose: la famiglia, la casa, il lavoro quotidiano. Forse è proprio questo che vorrebbe trasmettere a Jack, che, anche nel cielo, ci vuole una radice solida a cui restare legati.

Light My Fire – La scintilla del cambiamento

Pacific Heights High School, Los Angeles, 1961 –  Il corridoio brulica di studenti che si affollano agli armadietti, scambiandosi libri e risate tra una lezione e l’altra. Peggy chiude il suo armadietto con un colpo deciso, mentre accanto a lei, Sarah, la sua amica del cuore, fissa con occhi sognanti un ragazzo che parla con alcuni compagni dall’altro lato del corridoio. “Hai visto come si muove? Guarda quella giacca di pelle… è come… come…” Sarah cerca le parole, poi sbuffa con aria divertita. “Non so, è come se fosse un divo del rock.” Peggy ride, lanciando uno sguardo veloce al ragazzo. “Sì, magari è un po’ sfacciato, ma ha qualcosa. Ha l’aria di uno che sa già tutto della vita.”

Abbassa la voce, avvicinandosi a Sarah. “È un po’ come Jim Morrison, no? Quel tipo di bellezza un po’ selvaggia, un po’ pericolosa.” Sarah annuisce energicamente, lo sguardo fisso sul ragazzo. “Esatto! Non solo bello, ma libero. Non gli importa cosa pensa la gente. Pensa che una volta l’ho visto con un libro di poesie in mano. Non roba da scuola, però – roba di quella che fa pensare. Roba da poeti maledetti.” Peggy sente un brivido correrle lungo la schiena. “Chissà com’è,” dice, abbassando di nuovo la voce. “Essere come loro,  senza seguire le regole.” Guarda Sarah, come cercando conferma di un pensiero che ha dentro da un po’, ma che non ha mai osato dire ad alta voce.

“Ti rendi conto di quanto stanno cambiando le cose? La musica, le idee, persino il modo di parlare. È come se non fossimo più solo ‘ragazzine’.” Sarah le lancia un’occhiata d’intesa, poi abbassa la voce, avvicinandosi di più. “E non lo siamo più, Peggy. Non del tutto, almeno.”

Dopo aver salutato Sarah, Peggy si ferma un attimo davanti all’armadietto aperto, mentre la sua mente continua a vagare. Si sente in bilico tra due mondi: quello della famiglia, così ben radicato nei valori tradizionali che i suoi genitori hanno portato dall’Oklahoma, e quello nuovo che la circonda a scuola, fatto di musica, mode e idee che sembrano provenire da un altro pianeta. Per Peggy, vivere a Los Angeles è come stare in un film – ogni strada, ogni volto, ogni melodia le sembra raccontare una storia diversa. Da un lato ammira Jack e il suo amore per la scienza, quella passione che lo spinge a leggere ogni libro che gli capiti tra le mani, ma dall’altro, Peggy sente che c’è qualcosa anche per lei, qualcosa che ancora non riesce a mettere a fuoco.

La sua mente torna spesso alle discussioni con Sarah, a quell’aria di novità che si respira ovunque. Forse è questa città, forse sono i tempi che cambiano, o forse è solo il desiderio di sentirsi diversa da com’è sempre stata. Peggy si incammina verso la sua classe, ma non può fare a meno di lanciare un’occhiata fugace al ragazzo che aveva attirato l’attenzione della sua amica. Ethan. Un nome semplice, ma che sembrava racchiudere un intero mondo di mistero. Non era come gli altri ragazzi: non faceva parte della squadra di football, non si atteggiava a leader di nessuna comitiva. Eppure, ovunque andasse, attirava gli sguardi – non solo per il suo aspetto, ma per quel qualcosa di intangibile che lo circondava.

Peggy aveva notato Ethan per la prima volta settimane prima, seduto sotto un albero durante la pausa pranzo. Leggeva un libro che sembrava troppo grande per essere scolastico, le sopracciglia leggermente corrugate mentre sfogliava le pagine con calma. Gli altri ragazzi passavano oltre senza badargli, ma Peggy si era fermata, affascinata da quella scena. Chi leggeva poesie sotto un albero, incurante del mondo attorno? Da allora lo aveva osservato di sfuggita, ogni volta scoprendo un dettaglio nuovo: le dita macchiate di inchiostro, il modo in cui si fermava a parlare con i professori come se fossero vecchi amici, o quel sorriso enigmatico che sembrava rivolgere più ai propri pensieri che a tutte le persone intorno a lui.

Mentre Peggy trascorre le ore scolastiche tra lezioni e pause con gli amici, sua madre, Sadie, è già alla scrivania, impegnata nel lavoro che ha iniziato solo pochi mesi fa. Le luci dell’ufficio legale si riflettono sulle pareti grigie e inondano la stanza di un bagliore tenue, una routine a cui Sadie si è abituata con quella pazienza che ha sempre contraddistinto ogni sua scelta. Ogni giorno si reca allo studio legale del signor Rosenberg, uno studio piccolo ma ben avviato che si occupa di pratiche immobiliari e cause minori. Sadie si sistema al suo posto, passando una mano sulle carte ordinate.

La familiarità dei nomi e delle pratiche la fa sentire più a suo agio, quasi fosse tornata a lavorare in un ambiente sicuro come quello che aveva lasciato anni prima. Non è il lavoro dei suoi sogni, certo, ma ha imparato a trovarci una sua soddisfazione. Spesso si sorprende a pensare a come sono cambiate le loro vite da quando hanno lasciato l’Oklahoma. La California ha portato molte cose buone e nuove, ma anche qualche difficoltà. Eppure, ogni giorno, quando torna a casa e trova i suoi figli sorridenti e Howard al tavolo, la sua fatica sembra svanire.

Chiude la cartella del caso a cui sta lavorando, lanciando un ultimo sguardo fuori dalla finestra dell’ufficio. Un alito di vento scuote le foglie degli alberi in lontananza e Sadie sorride, pensando a quanto la sua famiglia si sia radicata in questa città.

Mr. Tambourine Man – Un giorno a Venice Beach

Venice Beach, Los Angeles, 1961-  Venice Beach ha sempre avuto una fama quasi leggendaria tra gli studenti della Pacific Heights High School. “È il posto dove tutto può succedere,” le aveva detto Sarah una volta. Così, quando quella stessa Sarah le propone di andarci con un gruppo di amici, Peggy accetta con un entusiasmo che non si aspettava di avere. Arrivano nel primo pomeriggio, con il sole alto che scalda le passerelle e i graffiti colorati che si arrampicano sui muri. Peggy cammina tra Sarah, due altri compagni di scuola e lui, il ragazzo che ultimamente sembra occupare un posto speciale nei suoi pensieri.

E’ proprio Ethan e c’è qualcosa in lui che la intriga: un mix di tranquillità e profondità che lo rende diverso dagli altri. Non è uno di quelli che alza la voce o cerca di mettersi in mostra, eppure non passa inosservato. Il gruppo si ferma davanti a una bancarella che vende poster e vinili. Ethan prende uno dei dischi, lo osserva con attenzione e sorride. “Questo è dei Byrds. Li hai mai ascoltati?” chiede, rivolgendosi direttamente a Peggy. Lei scuote la testa, un po’ intimidita, ma Ethan non sembra farci caso. “Dovresti provarci”, dice, rimettendo il disco al suo posto. “Parlano di cose che hanno senso, non solo di ballare e divertirsi.”

Mentre continuano a camminare sul lungomare, Peggy osserva le persone intorno a loro: artisti di strada, musicisti, venditori di ogni genere. La libertà si riflette in quei volti la affascina e al tempo stesso la intimorisce. Non è la vita che immagina per sé, eppure non riesce a smettere di chiedersi cosa significa vivere in quel modo, senza preoccuparsi di ciò che riserva il domani. Si ferma accanto a una bancarella che vende collane di perline e orecchini fatti a mano. Sarah si avvicina a un gruppo di ragazzi che stanno suonando una chitarra, ma Peggy rimane indietro, incerta. Ethan si accorge del suo silenzio e le si avvicina. “Non è proprio il tuo posto, vero?” chiede, con un sorriso che non è di scherno, ma di comprensione. Peggy lo guarda, un po’ sorpresa dalla sua intuizione.

“Non lo so… è tutto così… diverso.” Ethan annuisce. “Sì, lo è. Ma va bene così. Non dobbiamo essere come loro. O come chiunque altro, a dire il vero.” Venice Beach è un turbinio di voci e colori, un mondo a parte che sembra invitare Peggy a lasciare indietro ogni regola. Tra i musicisti che suonano strumenti improvvisati, i surfisti e le risate dei ragazzi che si rincorrono sulla spiaggia, tutto sembra gridare una parola: libertà. Sarah le si avvicina, gli occhi scintillanti. “Peggy, dobbiamo farlo. È un rito di passaggio,” dice, tenendo in mano una sigaretta dall’odore pungente. Intorno a loro, un piccolo gruppo di ragazzi sta ridendo e fumando, mentre una radio portatile spara una canzone dei Jefferson Airplane.

Peggy esita. La sigaretta passa di mano in mano, e ogni tanto qualcuno si allontana ridendo, gli occhi lucidi. Si sente il cuore in gola, il desiderio di essere accettata, in bilico con un senso di disagio che non riesce ad ignorare. “Non sei curiosa di sapere cosa si prova?” Sarah insiste, porgendole la sigaretta truccata con un sorriso complice. “E poi, non è niente di che. Solo per divertirsi.” Peggy allunga la mano, ma proprio mentre sta per prenderla, Ethan si avvicina, il suo volto serio ma calmo. “Peggy, puoi fare quello che vuoi,” dice, la voce bassa ma ferma. “Ma non devi farlo per loro. Fallo solo se è quello che vuoi davvero.”

La mano di Peggy si blocca a metà strada. Le sue dita tremano leggermente e sente il peso dello sguardo di Ethan su di lei, così come quello di Sarah, che ora sembra confusa. Peggy ritira la mano, stringendo i pugni lungo i fianchi. “Non credo che sia il mio genere,” dice, cercando di mantenere la voce ferma. Poi si volta verso Sarah, con un mezzo sorriso. “Io passo.” Sarah alza le spalle, apparentemente indifferente. “Come vuoi. Ma ti perdi qualcosa”, dice, prima di unirsi al gruppo che ride e scherza poco lontano. Peggy rimane immobile per un momento, poi sente Ethan che si avvicina di nuovo. “Ti rispetto per questo,” le dice con un pò di orgoglio. “Non tutti riescono a scegliere per se stessi.” La ragazza lo guarda, sentendo un calore nuovo che le si diffonde nel petto.

“Forse è la prima volta che lo faccio davvero”, mormora, la voce appena un soffio. Mentre si allontanano dal gruppo, Peggy sente che qualcosa dentro di lei è cambiato. La libertà, capisce, non è solo fare ciò che si vuole. È sapere chi si è, e scegliere di essere fedeli a se stessi.

Reach for the Stars – Raggiungi le stelle Jack!

Pacific Heights High School, Los Angeles, 1961 – Jack cammina nel cortile della scuola con la lettera del programma spaziale ancora ripiegata nella tasca della giacca. È il suo segreto, almeno per ora. Non vuole dirlo a nessuno finché non avrà preso una decisione. Partecipare significherebbe rinunciare al viaggio estivo con i suoi amici, quello di cui hanno parlato per mesi, ed immagina già la strada costellata di tappe incredibili fino a San Francisco. Si ferma davanti alla finestra della biblioteca e osserva il suo riflesso. Gli sembra di vedere un ragazzo diverso, più grande, più responsabile, ma anche più confuso. Ha sognato per anni di fare qualcosa di importante, di costruire un futuro che vada oltre le pareti della sua casa o dell’officina del padre.

E ora che la possibilità è reale, si sente sopraffatto. “Jack?” La voce di Mr. Bennett, il suo insegnante di scienze, lo sorprende. L’uomo si avvicina, con in mano un libro ingiallito e un sorriso bonario. “Tutto bene, ragazzo? Hai l’aria di chi ha appena scoperto il segreto dell’universo.” Jack ride piano, grattandosi la nuca. “Forse ho scoperto qualcosa, ma non so ancora cosa farne.” Jack si volta verso Mr. Bennett, cercando di nascondere il nervosismo. “Non è niente, professore. Solo… sto pensando a un progetto estivo. Forse.” L’insegnante inclina la testa con un sorriso curioso. “Un progetto, eh? Lascia che indovini: ha a che fare con il cielo, i pianeti e, probabilmente, qualche razzo?”

Jack sorride, preso in contropiede. “Come lo sa?”Perché vedo quella luce nei tuoi occhi ogni volta che parliamo di spazio. È la stessa che avevo io quando ho capito che volevo insegnare scienze,” risponde l’insegnante. “Vuoi parlarne?” Jack estrae la lettera e la porge a Mr. Bennett, che la legge attentamente. Il suo viso si illumina. “Programma Spaziale. Jack, questo è fantastico. Non capita tutti i giorni che un ragazzo venga invitato a qualcosa di così prestigioso.” Jack annuisce, ma si sente ancora inquieto. “Sì, ho fatto domanda da solo qualche mese fa. Non pensavo neanche che mi avrebbero preso sul serio. Ma ora il Preside è in contatto con il centro. Saranno sette i ragazzi selezionati dalla California e io sono uno di loro.”

“Sette su quanti studenti?” chiede signor Bennett, con una curiosità evidente. “Non lo so esattamente, ma molti. Mi hanno scelto per i miei voti, ma soprattutto per la presentazione che ho fatto sul futuro della tecnologia aerospaziale,” dice Jack, con un filo di orgoglio. Poi abbassa lo sguardo. “Solo che andando lì non potrò aiutare mio padre in officina quest’estate. E avevo anche promesso ai miei amici che avremmo fatto un viaggio on the road, fino a San Francisco.” Mr. Bennett si appoggia al davanzale della finestra. “Un’estate in officina con tuo padre, il viaggio della libertà con i tuoi amici… o un progetto che potrebbe aprire le porte del futuro.”

Jack annuisce. “Ha presente On the Road di Kerouac? Quel libro mi ha cambiato. Non riesco a smettere di pensarci. La libertà della strada, il dormire sotto le stelle, tutto quello che dice.”  “Un libro che fa sognare”, interviene Mr. Bennett con un sorriso. “Ma lascia che ti chieda questo: perché hai fatto domanda per il progetto?”

Jack si blocca, gli occhi fissi sul pavimento. Poi alza lo sguardo e risponde piano: “Perché voglio fare qualcosa di grande, qualcosa che mi porti oltre. Ma ora non so se ho il coraggio di lasciarmi tutto alle spalle.” Mr. Bennett lo guarda con serietà. “Non devi lasciare tutto, Jack. Ogni scelta che farai sarà un passo verso qualcosa di nuovo. Ma ricorda: quello che scegli oggi non definisce solo chi sei, ma chi vuoi diventare.” Jack annuisce, sentendo per la prima volta una chiarezza che lo conforta. Tira un respiro profondo, stringendo la lettera. Forse è pronto per questa nuova avventura, anche se il futuro gli sembra ancora un’incognita.

Across the Universe – Portami sulla luna, Jack!

Casa dei Freeman, Los Angeles, Dicembre 1961  – La cena è semplice, come ogni sera. Sadie ha preparato uno stufato caldo e il profumo di spezie e verdure riempie la cucina. Peggy, con il mento appoggiato alla mano, spinge i piselli con la forchetta, ma il suo sguardo è distante. “Qualcosa non va, tesoro?” chiede Sadie, versandole un po’ d’acqua nel bicchiere. Peggy scuote la testa, poi alza gli occhi verso la madre. “No, stavo solo pensando. Mi chiedo come fanno certe persone a vivere in modo così diverso. Come se stessero sempre cercando qualcosa che non riescono mai a trovare.” Howard solleva lo sguardo dal suo piatto. “E tu? Che cosa stai cercando, Peggy?” Lei riflette un momento, poi si stringe nelle spalle.

“Non lo so ancora papà. Forse ho solo capito che a me piace sentirmi a casa. Mi piace stare con gli amici ogni tanto, ma alla fine voglio qualcosa di più semplice.” Jack la osserva e sorride. “Wow, Peggy. Filosofia da cena.” “Chiudi la bocca, genio spaziale”, replica Peggy, lanciandogli un’occhiata ironica, ma affettuosa. Sadie ride piano, ma c’è un misto di orgoglio nel suo sguardo. “E quel ragazzo che hai conosciuto?” chiede, con una dolcezza che spiazza Peggy. “Ethan?” balbetta Peggy, il viso che si colora di rosso. “È solo… uno che scrive poesie. Mi piace parlare con lui, tutto qui.” Howard tossicchia, nascondendo un sorriso.

“Uno che scrive poesie, eh? Stai attenta, ragazza mia. I poeti possono essere pericolosi.” Peggy scuote la testa, ma il sorriso che le sfugge tradisce i suoi pensieri. Ethan.

C’è qualcosa in lui che non ha mai trovato negli altri ragazzi. Non è solo la calma con cui si muove o il modo in cui parla, scegliendo con cura ogni parola. È il fatto che, quando le racconta delle sue poesie o delle canzoni che scrive, la fa sentire parte di qualcosa di più grande. Si passa una mano tra i capelli, cercando di scacciare il pensiero, ma i ricordi insistono. La giornata passata a discutere delle canzoni dei Byrds e di come certi testi sembravano scritti per esplorare lo spazio tra le stelle e la terra. O il momento in cui Ethan, con la sua voce calma, le aveva detto: “Tu non sei come gli altri, Peggy. C’è qualcosa in te… come se cercassi quello che non riesci ancora a vedere.” Peggy non aveva risposto, ma quelle parole le erano rimaste dentro.

Le facevano sentire che, forse, il modo in cui guardava il mondo era diverso, e che andava bene così. Non era necessario correre dietro a tutto, provare tutto, essere tutto. Forse poteva solo essere sé stessa. “Peggy? Sei con noi?” La voce di sua madre la riporta alla realtà. “Sì, certo,” risponde Peggy, ma la sua mente vaga ancora verso Ethan e verso quel senso di calma che solo lui sembrava darle. Jack interrompe il momento con un respiro profondo, visibilmente nervoso. Si prende un attimo per raccogliere le parole, guardando la sua famiglia riunita attorno al tavolo. “Mamma, papà, c’è una cosa di cui devo parlarvi.” Sadie e Howard si voltano verso di lui, i volti pieni di attenzione. Jack deglutisce, poi estrae la lettera dalla tasca e la posa sul tavolo con un gesto quasi solenne. Le sue mani tremano leggermente mentre parla.

“Sono stato accettato al Programma Spaziale, lo sapete. Ma non so se devo farlo. Lascerò l’officina, non potrò aiutarti quest’estate, papà. E i miei amici… avevamo fatto dei piani per l’estate. Mi sento come se stessi tradendo tutti.”

Howard osserva la lettera, poi il volto di suo figlio. Posando con calma la forchetta, si sporge verso di lui, i gomiti appoggiati al tavolo. La sua voce è ferma, ma piena di calore. “Jack, ascoltami bene. Ci sono momenti nella vita in cui devi scegliere tra ciò che è facile e ciò che conta davvero. Questo programma non capita a tutti. È una cosa grande, figlio mio, e te la sei guadagnata. L’officina può aspettare. E i tuoi amici? Se sono veri amici, ti aspetteranno. Lo capisci?” Sadie, che fino a quel momento aveva osservato in silenzio, posa una mano sulla spalla di Jack. “Hai lavorato duro per questo, Jack. E voglio che tu sappia che, qualunque cosa tu scelga, noi siamo qui per te. Ma siamo così fieri di te. Così tanto.” Il volto di Jack si distende per un istante, come se un peso si fosse sollevato.

Ma prima che possa dire qualcosa, Peggy rompe il silenzio, il suo sorriso è un mix di affetto e ironia: “E poi, Jack, non possiamo mica lasciarti diventare un poeta come Ethan. Vai e costruisci razzi, che almeno potremo dire di conoscere qualcuno famoso.” La battuta scoppia come un piccolo fuoco d’artificio, e tutti ridono, persino Jack. La tensione nella stanza si dissolve, sostituita da un calore familiare. Jack sente una gratitudine profonda che non riesce ad esprimere a parole. Per la prima volta da giorni, si sente sicuro. La cena è finita e il silenzio della casa si fonde con quello del quartiere. Jack esce nel giardino sul retro, il respiro che si condensa nell’aria fredda della sera.

L’odore dei camini accesi riempie l’aria, un misto di legna bruciata e nostalgia che gli si insinua dentro. Le case intorno sono illuminate e attraverso le finestre si intravedono scene di vita familiare: volti sorridenti attorno a tavole imbandite, ombre che si muovono lente, televisori accesi che proiettano luci tremolanti sulle pareti. Jack si ferma accanto alla vecchia siepe che separa il giardino dai vicini, le scarpe che scricchiolano sull’erba ghiacciata. Si guarda intorno e, per un momento, si sente parte di qualcosa di più grande. Un intero quartiere che respira all’unisono, un insieme di vite intrecciate, ognuna con i propri sogni, i problemi, le proprie decisioni da prendere.

Si chiede se anche nelle case accanto ci siano persone come lui, restie a dividersi tra ciò che desiderano e ciò che pensano di dover fare. Forse dietro quelle finestre ci sono padri che parlano con i figli, madri che li rincuorano e ragazzi come lui che guardano il futuro e si chiedono quale strada scegliere. Poi alza lo sguardo verso il cielo limpido. Le stelle brillano, lontane e serene, come promesse che attendono solo di essere raggiunte. Si stringe le braccia intorno al corpo, ma non per il freddo: è la decisione che lo scalda dall’interno. “Vado,” sussurra, con un piccolo sorriso che si allarga lentamente. “Vado davvero.” Il futuro lo aspetta, lì sopra, tra quelle stelle.

Epilogo finale

“Casa dei Freeman, Los Angeles, fine maggio 1962” Le stelle sopra Los Angeles non si vedono mai bene come nei campi dell’Oklahoma, ma quella sera a Jack sembrano brillare più forte. È rientrato dal primo incontro con il gruppo del Progetto Spaziale e ancora fatica a crederci: sarà davvero tra i sette studenti selezionati della California. Le sue mani si stringono intorno alla cartelletta che gli hanno dato, piena di dettagli sul programma estivo. A breve sarà in viaggio verso il centro di ricerca di Pasadena che fino a qualche mese prima sembrava lontano anni luce dalla sua realtà.

Nel giardino sul retro, Peggy è sdraiata sull’erba fresca, con un libro di poesie che Ethan le ha consigliato aperto tra le mani. Lo legge senza fretta, un sorriso curioso sulle labbra. La sua mente vaga tra le parole del poeta e i pensieri sul ragazzo che, in qualche modo, riesce sempre a farla riflettere. Sadie e Howard sono seduti sotto il portico. Howard ha una birra in mano, mentre Sadie si rilassa con un bicchiere di tè freddo. Il profumo delle piante di lavanda che ha piantato in primavera riempie l’aria fresca della sera. Parlano a bassa voce, ricordando il loro arrivo a Los Angeles sette anni prima, quando tutto sembrava così incerto e precario. “Chi l’avrebbe detto, eh?” sussurra Howard, il viso illuminato da un raro sorriso rilassato. “Abbiamo fatto tanta strada.”

“E ne faremo ancora amore mio”, risponde Sadie con dolcezza. I suoi occhi seguono Jack, che si ferma sotto un albero e guarda il cielo. “I nostri ragazzi sono in gamba, Howard. Hanno un futuro davanti a loro.” Howard annuisce e sorseggia la birra, lasciando che il silenzio riempia lo spazio tra loro. Jack rimane sotto l’albero, con lo sguardo fisso verso le stelle. Sadie si alza e cammina verso il figlio. “Jack, non rimarrai qui tutta la notte, vero?” La sua voce è dolce ma decisa. Jack si volta, mostrando un sorriso che non riesce a contenere. “Sto pensando a quante stelle vedrò a Pasadena. Chissà se saranno più luminose di queste.”

Sadie si ferma accanto a lui, stringendosi nel cardigan leggero. Il profumo della lavanda è più forte lì, e per un momento lei si lascia andare a quel piccolo piacere. “Le stelle… Sono sempre lì, anche quando non le vediamo. Un po’ come i sogni, Jackie. Devi solo sapere dove guardare.” Jack la guarda con un misto di sorpresa e gratitudine. È così fiero di sua madre, anche se non lo dice mai apertamente. Lei gli passa una mano tra i capelli, un gesto semplice che lo riporta indietro agli anni in cui era ancora un bambino, perso nei campi di girasoli dell’Oklahoma. Dal portico, Howard osserva la scena con un sorriso appena accennato, battendo con le dita contro la bottiglia di birra.

“Sadie, non spaventarlo con tutta questa saggezza”, scherza, ma la sua voce è piena di orgoglio. Sadie si volta, ridendo piano. “Vai a letto”, dice al figlio. “Domani inizia il tuo futuro.” Jack resta ancora un attimo, lasciando che il silenzio della sera lo avvolga. Si ferma al di là dell’albero e solleva lo sguardo verso il cielo. Le stelle sono poche, nascoste dal bagliore della città, ma lui le immagina nitide e vicine, come se potesse quasi toccarle. Il vento soffia leggero tra i rami, portando con sé l’odore dell’erba bagnata e del legno del portico. La mente vaga oltre i confini della casa, oltre il quartiere. Pensa a tutte le sere passate in officina con il padre, al rumore degli attrezzi che si mescolava alle loro conversazioni.

Rivede le risate soffocate di Peggy, rannicchiata sul divano con i suoi fumetti, e le mani di sua madre, sempre occupate, ma mai troppo per una carezza. Ogni ricordo sembra convergere verso quel momento, come se tutto lo avesse preparato per ciò che lo aspetta.

Una cosa sembra certa: quella non è solo una casa, né un semplice giardino. È la sua famiglia, il luogo dove tutto è cominciato, una scatola di biscotti a forma di cuore da cui ogni sogno sembra scaturire. Non importa dove andrà o cosa farà; quel piccolo angolo di Los Angeles sarà sempre parte di lui, il punto da cui tutto ha avuto inizio. Jack si avvia verso la porta, ma si ferma un istante sui gradini del portico. Sente l’aria fresca accarezzargli il viso e un brivido lo attraversa, come se qualcosa di invisibile lo sfiorasse. Chiude gli occhi per un momento, cercando di cogliere quella sensazione familiare che non riesce a spiegare. Gli torna in mente l’ultima volta che l’ha provata: era nella sua piccola stanza, la sera prima di fare il pupazzo di neve con suo padre e Peggy.

Un sorriso gli illumina il viso. Non è paura né inquietudine, ma una consapevolezza: qualcosa lo ha sempre accompagnato, una presenza calma e silenziosa che lo ha spinto avanti nei momenti decisivi. Forse è il passato che lo osserva con benevolenza, o forse è solo il suo cuore che riconosce quando sta per iniziare qualcosa di grande. Apre gli occhi e sussurra appena, come faceva allora: “Ci vediamo più tardi.” Con quel pensiero, spinge la porta e si volta a guardare i suoi genitori un’ultima volta prima di salire. Li saluta con una maturità calma che non sapeva di possedere fino a quel momento.

“Mamma, papà… buonanotte. E grazie.” Sadie gli sorride con dolcezza, mentre Howard alza la bottiglia in un gesto silenzioso. Jack entra in casa, chiudendo la porta alle sue spalle. E mentre il mondo fuori si quieta, una certezza lo attraversa: questo non è un addio, né una conclusione. È solo il primo passo verso le stelle.

Fine Ep.4 di un racconto lungo di Lara Uguccioni

Il mio viaggio con i Freeman

Quando si conclude un romanzo, o un racconto come in questo caso, lasciare andare i personaggi è sempre un po’ come dire addio a degli amici. Termini l’avventura e, mentre chiudi l’ultima pagina, senti quel vuoto dolce e malinconico che accompagna la fine di ogni viaggio bellissimo. Scrivere dei Freeman, una famiglia degli anni ’50 per di più americana, potrebbe sembrare insolito per me, italiana e nata molto tempo dopo quel periodo storico. Potreste chiedervi: “Ma come puoi sapere e capire cosa hanno provato i Freeman?” Eppure, è stato sorprendentemente naturale immedesimarmi nella vita di questa generazione americana.

I Freeman sono una famiglia che rincorre un sogno universale: il desiderio di costruire qualcosa di migliore, di elevarsi, di crescere, di non restare fermi. Credo che questo sia un sogno condiviso da ogni essere umano, indipendentemente dal luogo o dal tempo in cui vive. I Freeman mi hanno insegnato molto. Attraverso i loro occhi ho esplorato un’epoca, ho viaggiato lungo strade polverose e affollate, e ho sentito la forza di un legame familiare che resiste alle difficoltà. Per questo, lasciarli andare è stato così difficile.

Cari lettori è arrivato il momento di voltare pagina, di partire per un nuovo viaggio e chissà, forse un giorno tornerò sulla Route 66 per ripercorrere quella strada che sarà sempre un simbolo di sogni e speranze. Una strada che non appartiene solo ai Freeman, ma a chiunque abbia mai inseguito qualcosa di grande, qualcosa che brilla appena oltre l’orizzonte.
Buon viaggio a tutti!
Lara Uguccioni

Immagini:
Tutte le immagini sono state generate con l’AI (Canva) e sono uniche, frutto della mia immaginazione.

“La strada verso le stelle” è un racconto a puntate, qui trovi i primi 3 episodi:

Primo episodio
Secondo episodio
Terzo episodio
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Antonella
Antonella
16 giorni fa

Ma tu sei una vera scrittrice! La tua saga mi è piaciuta tantissimo, racconti l’America del nostro immaginario con grazia e talento. Lascia andare i Freeman che resteranno comunque parte di te ed esplora nuovi universi che non vedo l’ora di leggere

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