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America vs Italia – tradizioni primaverili a confronto

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La primavera è una stagione che non conosce mezze misure. Ti svegli con il sole che bacia i vetri della tua finestra, pensi “Che meraviglia, finalmente caldo!” e un’ora dopo ti ritrovi sotto un acquazzone con un vento che manco novembre. È la stagione del “esco senza giacca, cosa vuoi che succeda?” seguita da bronchite immediata. Insomma, sicuramente imprevedibile, un po’ testarda, decisamente adorabile. Un po’ come me, d’altronde: sarà che sono nata proprio in marzo e la primavera mi somiglia. E così come il tempo primaverile ama giocare con le nostre certezze, anche le tradizioni legate a questa stagione cambiano da un Paese all’altro.

Negli Stati Uniti si passa dal consultare una marmotta per sapere se possiamo riporre il piumino, a decorare uova con un entusiasmo che nemmeno Michelangelo con la Cappella Sistina. In Italia, invece, tra falò propiziatori e abbuffate di zeppole, celebriamo la primavera con il nostro solito tocco di teatralità e buon cibo. Ma chi vince la sfida delle tradizioni più curiose? Qual è il modo migliore di accogliere la bella stagione, con un picnic sotto i ciliegi o con un bel falò primaverile? È il momento di mettere a confronto USA e Italia in un viaggio tra folklore, superstizione e qualche sorpresa. Spoiler: le marmotte hanno un ruolo in tutto questo. E fra poco ve lo spiego.

Voglia d’estate? Chiediamolo alla marmotta… o a una cipolla

Dimenticate le app meteo e i satelliti: in alcune parti del mondo, il clima si predice con metodi molto più pittoreschi. Negli Stati Uniti, il 2 febbraio è il Groundhog Day, ovvero il Giorno della Marmotta. La protagonista assoluta è Punxsutawney Phil, una marmotta della Pennsylvania che, secondo la tradizione, esce dalla sua tana e ci svela il futuro. Se vede la sua ombra, ci aspettano altre sei settimane d’inverno; se non la vede, possiamo prepararci ad una primavera anticipata. Semplice, chiaro e totalmente arbitrario! Ma gli americani la prendono sul serio, con cerimonie in grande stile e un’intera città che si ferma per assistere al verdetto del roditore più famoso del Paese. Phil, per gli amici, è l’inquilino più famoso di Gobbler’s Knob, un angolo rurale a circa 3 km da Punxsutawney, Pennsylvania.

Tra questi boschi e tanta neve vive la marmotta più celebre d’America, che al sentor di primavera, si trasforma in meteorologo improvvisato. Ma non è una moda moderna: questa tradizione ha radici antiche, che risalgono addirittura all’Europa. Tutto infatti nasce in Germania, dove si credeva che un animale in letargo – come un riccio – potesse prevedere la fine dell’inverno: se vedeva la sua ombra, significava che il freddo sarebbe durato altre sei settimane. Quando i coloni tedeschi sbarcarono in Pennsylvania, si trovarono senza ricci a disposizione, ma con un’abbondanza di marmotte. E così, nacque il Groundhog Day.

Ora, secondo la leggenda, Punxsutawney Phil è sempre lo stesso dal 1886, mantenuto in vita grazie ad un elisir segreto chiamato Groundhog Punch (sì, una specie di pozione dell’eterna giovinezza per roditori).

Nella realtà, però, una marmotta vive in media sei anni, il che significa che di Phil ne abbiamo visti parecchi. Ma chi siamo noi per rovinare la magia? La prima celebrazione ufficiale si tenne nel 1887, e da allora il Groundhog Day è diventato un evento nazionale, con parate, turisti in delirio e persino una cerimonia in abito elegante per annunciare il verdetto di Phil. Il nome “Phil” gli fu assegnato solo nel 1961 e qualcuno ipotizza che sia un omaggio al Principe Filippo, Duca di Edimburgo. Perché proprio lui? Mistero. E per quanto riguarda l’accuratezza delle sue previsioni, diciamo che il buon vecchio Phil ha un tasso di successo inferiore al 50%. Insomma, avrebbe le stesse probabilità tirando una moneta. Ma vogliamo davvero giudicare? Lui è una semplice marmotta e noi lo amiamo lo stesso.

A questo punto direte voi “ma cosa potrà mai paragonare la marmotta americana a una tradizione del folklore italiano?” Ebbene, senza neanche andare tanto lontano da casa mia, ad Urbania, nelle Marche, esiste una tradizione che non ha nulla da invidiare alla marmotta americana. Perché se negli Stati Uniti si affida il meteo a un roditore semi-addormentato, in Italia preferiamo consultare le cipolle. Ogni anno infatti, nel piccolo borgo marchigiano, si ripete il rito delle cipolle di Urbania, una pratica che affonda le radici nel Medioevo e che promette di prevedere il meteo per i dodici mesi successivi. Il procedimento è semplice, ma intriso di fascino: si sfoglia una cipolla in dodici spicchi, ognuno dedicato a un mese dell’anno, e si cosparge di sale.

Durante la notte, l’umidità che si forma su ogni spicchio indicherà se quel mese sarà piovoso o asciutto. Ora, potremmo metterci a discutere su quale metodo sia più scientifico tra una marmotta sonnacchiosa e una cipolla “oracolo del meteo”, ma dove sarebbe il divertimento? Dopotutto, entrambi i rituali ci insegnano una grande verità: prevedere il tempo è un’arte più che una scienza e un po’ di folklore non guasta mai. E se proprio dovessi scegliere tra una marmotta e una cipolla beh, almeno la cipolla puoi sempre usarla per un soffritto. E se pensate che questo sia un rito di poco conto, vi sbagliate di grosso: da Pesaro fino all’ultimo borgo delle Marche, i giornali ne parlano eccome. Non ci credete? Date un’occhiata e ve ne accorgerete!

E se marmotte e cipolle non bastassero, ecco un altro pò di saggezza popolare: la Candelora, che cade il 2 febbraio, proprio come il Groundhog Day. Questa festa, di origine cristiana, segna ufficialmente la fine del periodo natalizio e, secondo la tradizione, è anche un ottimo indicatore per prevedere il tempo che verrà. Come? Con un proverbio che sembra più un enigma che una previsione meteorologica: “Se per la Candelora il tempo è bello, l’inverno durerà ancora un po’. Se piove o fa brutto, l’inverno è passato.” Insomma, qualunque sia il meteo quel giorno, il proverbio ha sempre ragione. Un po’ come quando guardi le previsioni e vedi scritto “variabile” .

La Candelora, però, non è solo una questione di meteo: in passato segnava un momento importante dell’anno, un passaggio tra il buio dell’inverno e la luce della primavera che piano piano si avvicina. Per questo, in molte regioni italiane, è ancora oggi legata a riti e celebrazioni, spesso con falò purificatori che illuminano la notte. Dunque, ricapitolando: in America ci si affida ad una marmotta, nelle Marche alle cipolle e nel resto d’Italia a un proverbio che può significare tutto e niente. Forse il modo migliore per affrontare l’inizio della primavera è semplicemente tenere a portata di mano sia l’ombrello che gli occhiali da sole. Non si sa mai.

Primo Maggio e dintorni: Italia – America 1-1

Il Primo Maggio in Italia, è roba seria. Festeggiamo la Festa dei Lavoratori tra cortei sindacali, panini imbottiti sotto il palco e il celebre Concertone di Roma, dove ogni anno si alternano musica e polemiche che, diciamocelo, fanno parte dello show. È la giornata della folla in piazza e delle immancabili grigliate fuori porta, perché noi, anche quando celebriamo il lavoro, non ci facciamo mancare una frittatina o una lasagna all’aria aperta. Negli USA invece, il Labor Day lo festeggiano a settembre, quindi il 1° maggio resta più un giorno simbolico legato ad antiche celebrazioni di primavera, con poche tracce di folklore moderno. Insomma, punto all’Italia che sa come riempire le piazze (e i piatti) anche sotto la pioggia.

Ma aspettate, perché l’America non si fa battere così facilmente: arriva sul campo il leggendario Kentucky Derby che ogni anno – proprio nel primo weekend di maggio – trasforma Louisville in un mix di eleganza, follia e scommesse. Cappelli giganteschi, abiti da gran gala e litri di Mint Julep, cocktail tipico della giornata, per partecipare a quella che viene chiamata “The Most Exciting Two Minutes in Sports”. I “due minuti più emozionanti dello sport” sono in realtà una corsa che dura giusto il tempo di un respiro. E qui scatta la digressione tutta italiana: perché se il Derby è glamour e frizzante, da noi il Palio di Siena è storia, rivalità e adrenalina pura. Niente abiti eleganti, ma fazzoletti di contrada stretti al collo e un cuore che batte all’unisono con il cavallo preferito.

Due eventi molto diversi, ma con lo stesso ingrediente magico: la passione. Oltre alla corsa in sé, il Kentucky Derby è famoso per i cappelli che sfidano le leggi della gravità. La regola non scritta dell’evento? Più il cappello è esagerato, meglio è. Tra piume, fiori e decorazioni improbabili, sembra quasi una gara parallela a quella dei cavalli: chi riuscirà a farsi notare di più sugli spalti? Questa tradizione nasce dall’influenza inglese dei Royal Ascot e delle corse d’élite, dove l’eleganza stravagante è di casa. Se non ci credete trovate qui una lista di outfit per l’evento, cos’è più o meno importante e le tendenze su cosa indossare. Altrochè le sfilate di Milano!

E poi c’è lui, il re dei bicchieri del Derby: il Mint Julep. Un cocktail semplice ma leggendario, a base di bourbon, zucchero, menta fresca e ghiaccio tritato, servito rigorosamente in un bicchiere color argento. Ogni anno, durante il weekend del Derby, si stima che saranno serviti oltre 120.000 Mint Julep solo a Churchill Downs, l’ippodromo ufficiale dell’evento. Dicono che sia rinfrescante e perfetto per la primavera, ma se ne bevi più di uno, rischi di vedere doppie anche le marmotte di Punxsutawney.

Maggio, pur con tutte le differenze culturali, ha qualcosa di profondamente universale sia in Italia che in America: è un mese che celebra la rinascita, il cambiamento e la bellezza che esplode ovunque.

In America si moltiplicano i festival primaverili, come il Cherry Blossom Festival , le parate, le fiere agricole. Negli Stati Uniti, la primavera ha un profumo delicato e un colore ben preciso: il rosa confetto dei ciliegi in fiore. Ogni anno infatti, a Washington DC, si celebra il Cherry Blossom Festival che attira milioni di visitatori pronti a passeggiare lungo il Tidal Basin con lo smartphone puntato verso le nuvole di petali rosa. Il festival nasce da un gesto di amicizia internazionale – i ciliegi furono donati dal Giappone nel 1912 – ma nel tempo è diventato un evento tutto americano: parate, aquiloni, picnic sotto gli alberi e un entusiasmo contagioso che fa dimenticare per un attimo il traffico della capitale.

E in Italia? Beh, anche noi non scherziamo quanto a fioriture spettacolari. Basta venire a Cattolica per il Primo Maggio, quando la città si trasforma in un giardino a cielo aperto con la sua storica Festa dei Fiori. A casa mia infatti il Primo Maggio sboccia tra i fiori. Questi non sono sui cappellini in stile Kentucky Derby, ma la città ne è letteralmente ricoperta. Una tradizione che profuma di primavera e che trasforma le vie in un giardino a cielo aperto: bancarelle, installazioni floreali e un’atmosfera che fa venire voglia di passeggiare con il naso tra le rose e la macchina fotografica sempre pronta. Niente ciliegie quindi, ma una varietà di piante che farebbero invidia anche al botanico più esperto. Il centro si riempie di bancarelle colorate, profumi intensi e una certa aria di “finalmente è primavera”.

Qui si cammina lentamente, si comprano erbette profumate anche se non si ha un balcone, e si finisce immancabilmente a mangiare una piadina in mezzo ai gerani. Niente da dire: magari non abbiamo il fascino esotico dei ciliegi giapponesi, ma quando si tratta di vivere la primavera con stile… be’, l’Italia sa sempre il fatto suo. Italia e America si giocano la loro personale partita di maggio quindi, tra picnic, sfilate floreali e cavalli da corsa. E per ora il punteggio resta in equilibrio: 1-1 e palla al centro.

Mamme, fiori e cuori: il vero trionfo di maggio

Se maggio fosse una persona, sarebbe quella che arriva ad una festa con un mazzo di fiori sotto un braccio e una torta fatta in casa sotto l’altro. E infatti, in entrambi i lati dell’oceano, questo mese accoglie uno degli appuntamenti più teneri dell’anno: la Festa della Mamma. Negli Stati Uniti si celebra la seconda domenica di maggio con brunch luculliani, biglietti pieni di cuori e glitter. Non mancano regali pensati o, a volte, anche comprati all’ultimo minuto. I bambini preparano lavoretti a scuola e i negozi si riempiono di scritte tipo “Mom, you’re my superhero” e “Best Mom Ever”. Come se il titolo di mamma fosse una categoria degli Oscar.

In Italia, invece, la festa ha un tono un po’ meno hollywoodiano ma non meno affettuoso. Anche da noi cade la seconda domenica di maggio, ma spesso viene celebrata in modo più semplice: un fiore, un messaggino, una telefonata che inizia con “Ciao mamma, ti voglio bene” e finisce con “ma quella ricetta della lasagna me la riscrivi che non mi viene come la tua?”. Le scuole elementari, come da tradizione, sfornano biglietti colorati e poesie che fanno sciogliere pure il cuore più corazzato. E mentre in America si corre al centro commerciale, da noi si corre alla pasticceria sotto casa per prendere i mignon della domenica. Che poi, a ben vedere, è sempre una forma d’amore.

Ma da dove nasce questa tradizione? Negli Stati Uniti, la Festa della Mamma non è solo una giornata piena di fiori e abbracci, ma una vera e propria istituzione nazionale. A volerla fu una certa Anna Jarvis, che nel 1908 organizzò il primo evento per onorare la madre scomparsa. L’idea piacque così tanto che, nel 1914, il Congresso americano decise di renderla ufficiale. Ma la storia ha un retroscena gustoso: Anna, vedendo come la festa era diventata un’occasione commerciale tra cioccolatini, biglietti e pubblicità, passò il resto della vita a combattere contro la sua stessa invenzione. Ecco, probabilmente è l’unica figlia al mondo ad aver detto “ci ho ripensato!” riferendosi ad un gesto d’amore.

In Italia, la festa ha preso piede un po’ più tardi, ma con un’anima tutta sua. La Festa della Mamma, da noi, ha preso forma a partire dagli anni ’50 e — come spesso accade in Italia — ha due anime: una più spirituale, l’altra decisamente più commerciale. La prima scintilla la dobbiamo a Don Otello Migliosi, un parroco di Tordibetto di Assisi, che nel 1957 decise di dedicare una giornata alla maternità come valore cristiano, con tanto di messa, comunità riunita e parole dolci. Quasi in parallelo, nel 1956, un senatore ligure di nome Raul Zaccari ebbe la stessa idea, ma con uno sguardo più profano. Organizzò la festa a Bordighera con l’aiuto di un’azienda florovivaistica. Il messaggio era chiaro: onoriamo le mamme e magari vendiamo anche qualche mazzo in più.

Da quel momento in poi, la Festa della Mamma ha cominciato a farsi spazio nei cuori (e nei balconi) degli italiani, fino a diventare un appuntamento fisso la seconda domenica di maggio, proprio come negli Stati Uniti. E anche se da noi non ci sono brunch con prenotazioni da tre settimane prima, sappiamo comunque renderle felici: un fiore, una poesia, un sorriso e magari una crostata fatta in casa con la marmellata buona. Mamme contente, Italia contenta. Insomma, meno coreografia ma tanto cuore. In fondo, anche se cambia il modo di festeggiare, il messaggio è universale: dire a chi ci ha cresciuti “grazie” e magari portarle una pianta che non sa dove mettere, ma che terrà sul davanzale per i prossimi dieci anni lo stesso.

Articolo di Lara Uguccioni

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