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Pasqua a Cattolica. Tra cibo, riti e tradizioni romagnole

Chissà per quale ragione la maggior parte delle tradizioni romagnole sono connesse alla madre Terra e al signor Mare mentre le restanti, al cibo. “Elementare Watson” avrebbe detto il brillante Sherlock Holmes, perchè di fatto è facile capire come la terra di Romagna sia legata ai supremi elementi della natura e a ciò che produce. Sin dall’inizio dei tempi il popolo delle colline coltivava i campi ed era abituato al duro lavoro di un terreno fecondo e rigoglioso. Chi invece era nato sulla costa apparteneva di fatto al mare, che nella sua abbondanza di vita ittica non ha mai lasciato nessuno morire di stenti. Ecco che da sempre tutti noi romagnoli siamo riconoscenti di ciò che la natura ci offre e la festeggiamo, celebrandola con buon cibo e piccoli, antichi rituali.

Fra pochi giorni tornerà la Pasqua, festa della tradizione cristiana, intrisa altresì di misticismo e paganesimo. Per noi cattolichini è di fatto impossibile scindere la tradizione antica dalla religione, un connubio unico dal quale è scaturita una delle più sentite feste dell’anno. Ovviamente essendo romagnoli, ciò che non trascuriamo mai è il buon cibo da servire nel periodo pasquale, così che dolci pagnotte profumate si alternano a uova di cioccolato tra spaghetti alle vongole e fritture miste. Infatti ogni occasione è buona per far festa, mangiare ringraziando la natura e l’arrivo della bella stagione che a Cattolica porta ogni anno prosperità e lavoro. Andiamo a conoscere le antiche usanze, i riti e il menù pasquale che qui da noi viene servito anche in albergo!

In Romagna c’è un filo sottile tra sacro e profano

Uova di Pasqua

A Pasqua la bella Cattolica rinasce, le attività aprono i battenti, noi cattolichini usciamo dai rifugi invernali iniziando a lavorare per la prossima stagione estiva. La città si veste a festa, proprio come una vera regina, i villeggianti arrivano in massa animando locali, piazze, strade e la grande spiaggia, ancora libera dagli ombrelloni. E’ bello vedere come Cattolica rinasce ogni anno, la sua luce cambia trasformando il territorio e noi abitanti in una collettività allegra e produttiva. Cattolica esiste da oltre 750 anni con le sue osterie, locande e la strada maestra dove transitavano un tempo i viandanti. Ma ancor prima che Cattolica diventasse la signora dell’ospitalità, la piccola cittadina come gran parte del territorio attorno, è stata abitata dalle popolazioni celtiche originarie dell’isola britannica.

Era circa il 350 a.C quando il territorio romagnolo fu conquistato dai Celti, un popolo che impose la propria lingua dando una fisionomia specifica alla Romagna. Nonostante avessero cacciato i popoli originari di queste terre, i Celti si dimostrarono essere civili e rispettosi, sia con gli sconfitti che dell’ambiente. Infatti fecero della Romagna un territorio stabile, riuscendo a rendere il terreno ancora più fertile. Una curiosità riguarda l’influenza che hanno avuto sul dialetto romagnolo, che si ritiene essere derivato da un miscuglio del latino ed il celtico. Per i Celti era la dea Ostara, celebrata a ridosso dell’equinozio di primavera, colei che portava la bella stagione e con essa la fioritura e la fertilità. Questa era del tutto simile alla dea Eoste, divinità femminile teutonica, quindi germanica, legata anch’essa alla nascita e all’est.

Pagnotta pasquale romagnola

Le festività di Ostara ed Eostre sono collegate alle parole, rispettivamente in lingua inglese e tedesca, che indicano la Pasqua: Oster Easter (qui un articolo dove vi spiego meglio l’antico legame). La tradizione romagnola delle uova di Pasqua ad esempio, è strettamente legata ai riti pagani e al culto della Dea: una consuetudine tra i pagani era scambiarsi uova “sacre” sotto l’albero ritenuto magico dal villaggio. Da noi a Cattolica è ancora viva l’usanza di far benedire le uova sode, regalarle o consumarle a colazione la mattina di Pasqua. L’uovo “benedetto” è da sempre simbolo di fertilità, ecco che le nonne passano in chiesa dopo aver fatto dipingere le uova sode ai nipotini e chiedono al sacerdote di benedirle.

La mattina di Pasqua le servono a colazione accompagnate dalla Pagnotta Pasquale una sorta di pane dolce nato a Sarsina, ma che si è subito diffuso in tutte le campagne circostanti. Si tratta di un pane rustico della Romagna contadina che, tuttavia, rimanda indietro nel tempo, quando i riti cattolici si sovrapposero alle credenze arcaiche precedenti. Come per tutte le ricette di origine popolare non c’è traccia certa sui suoi natali, ma il paese che lo rivendica come specialità è appunto Sarsina. Questa è una cittadina sulle colline dell’Appennino tosco-romagnolo, non lontana da Cesena dove è nata, secondo Plauto, nel III secolo a.C. questa particolare pagnotta.

Un tempo neanche troppo lontano, si sfornava il sabato, per essere tenuta da parte e servita la domenica mattina al rientro dalla Messa. 

Tradizione romagnola bambini che dipingono le uova di Pasqua

L’impiego di poco zucchero o miele la rendeva ideale per accompagnare la classica colazione “rinforzata”. Oggi la si cucina spesso con il burro, ma una volta questo era un ingrediente troppo costoso, così veniva impastata con dello strutto. Qualcuno aggiungeva un cucchiaino o due di semi d’anice. Con una fetta del rustico pan brioche si mangiavano le uova sode benedette il giorno prima, nonché il salame casereccio affettato per l’occasione. E lo si fa tutt’ora. Qui trovate la ricetta della Pagnòta ad Pasqua di Monica, blogger di Tortellini & Co. Non dite che la vostra è diversa, ogni ‘zdora degna di questo nome ha la sua tramandata nei secoli dei secoli!

Un’emozione più che una curiosità: le signore preparavano l’impasto nei giorni che precedevano la Pasqua. Per soddisfare le esigenze di famiglie numerose, le pagnotte potevano arrivare a pesare anche diversi chilogrammi. Per questo motivo, terminata la lievitazione, ogni famiglia portava il proprio pane a cuocere nel grande forno del paese. Il mio amico Mauro ancora se lo ricorda, suo babbo le cuoceva per tutto il quartiere Ventena nel grande forno dietro alla rivendita Pecci.

Colazione di Pasqua quindi, con la pagnotta, qualche fetta di salame del contadino, le uova benedette, Sangiovese per gli stomaci più robusti e tanti narcisi a decorare la tavola. Questo fiore giallo è infatti il simbolo della Pasqua e fiorisce proprio in queste settimane sull’Appennino tosco-emiliano-romagnolo. Un colpo d’occhio emozionante è la fioritura dei narcisi che ricopre le vallate e i prati del parco, mentre si risveglia la natura in mezzo ai tanti torrenti, mulini, ai soffici boschi carichi di germogli e di fiori.

Il Venerdì Santo sulle tavole dei romagnoli

Pasqua a Cattolica. Tra cibo, riti e tradizioni romagnole

La storia dell’uomo comincia da un pranzo: quello in cui Eva offrì il pomo ad Adamo.

Inizia così il primo capitolo “Dolci soste in terra di Romagna” de “I mangiari di Romagna”

Il giorno successivo al termine della Quaresima è il Venerdì Santo e qui a Cattolica è un giorno “sacro” anche per chi di religione poco se ne intende. Rispettarne il precetto che il cristianesimo chiama “digiuno delle carni” è come sventolare una bandiera bianca e nera allo start del circuito di Misano. Un via libera quindi ai piatti della tradizione di mare romagnola, quella che noi cattolichini conosciamo bene. È l’occasione giusta per gustare il buon pesce azzurro dell’Adriatico, per capirci quello pescato nei 110 km delle provincie costiere che vanno dai lidi ferraresi a Cattolica. Segni particolari: qualità eccellente e convenienza, sì perchè il pesce azzurro non è costoso e ha una varietà incredibile di specie commestibili.

E’ un pesce povero intendiamoci, non aspettatevi di trovare sulle tavole dei romagnoli astici o mazzancolle giganti, che dalle nostre parti arrivano solo d’importazione. Saraghi, suri, sarde, sgombri sono i preferiti e si possono cucinare sulla griglia o marinare nell’aceto, limone o succo d’arancia per i più “fighetti”. I “baganelli”, non so perchè a Cattolica chiamiamo così i paganelli, si pescano da marzo a giugno, periodo in cui sono più grandi e gustosi. La mazzola invece è molto buona nel brodo che, a sua volta, è perfetto per cucinare i passatelli romagnoli. Questi sono talmente gustosi e saporiti che, sulla costa, li cuciniamo anche asciutti serviti con un buon sugo di pesce misto. In questo caso si cucinano in un brodo di pesce, poi con delicatezza vanno presi con una “ramaiola”, o schiumarola se preferite l’italiano, scolati delicatamente e posti al centro del piatto.

Dopo di che il passatello va irrorato abbondantemente di sugo, che può essere rosso o bianco, di pesce misto oppure di sole vongole, di sogliole o quel che vi garba, perchè i passatelli sono come il nero: stanno bene su tutto.

Pranzo di Pasqua

Per chi vuole “stare leggero” un piatto facile e senza pretese, ma per me il migliore, sono gli spaghet sli “puràz”, o poveracce, nonchè le vongole dell’Adriatico: i famosi lupini. Queste sono vongole più piccole delle veraci, ma dalle carni più sode e saporite con valori nutrizionali migliori. Un segreto per “far venire la cremina” allo spaghetto è quello di filtrare l’acqua che le vongole creano nella pentola in cui vengono aperte con aglio, olio e prezzemolo. Questa profumatissima acqua deve essere aggiunta a quella di cottura, ricca di amido, nel momento in cui lo spaghetto verrà saltato in padella. Solo così la “cremina” è assicurata. Non so perchè, ma come secondo piatto ogni anno si finisce sempre per mangiare il pesce in “gradella”, cioè alla grigia.

Qui c’è il via libera alla fantasia di ognuno, perchè come si racconta nei “Mangiari di Romagna” tutti i pesci possono cuocersi arrosto. “Graticola o gratella è voce cucinaria del XIV secolo, che deriva dal latino cratìcula (diminutivo di cratis). E’ lo strumento di modesto aspetto, prezioso, che serve per cuocere veramente arrosto, sulla brace di carbone, ogni specie di pesce.” E se lo dice la bibbia del mangiare romagnolo noi ci crediamo. Il pesce arrosto romagnolo è solo quello cosparso di olio, pane grattugiato, pepe, sale e prezzemolo. La vera ‘zdora (‘azdora per i riminesi) ci mette anche aglio in abbondanza. Ecco passare sotto alle fameliche fauci dei romagnoli sogliole, triglie, rombi, cannelli, sardoni, canocchie e la lista si fa decisamente ancora più lunga.

Ovviamente ogni pesce ha la sua stagione, l’importante è che sia ben condito. E buon Venerdì Santo a tutti!

Pasqua con la testina d’agnello alla Marconi e il Latteruolo di Artusi

Pranzo di Pasqua a Cattolica

Gardèl ch’al s-ciòca, nebia on cusèna, aròst d’Sampìr sora la tvaja, sota curtèll, sota furzèna la gran bataja cla si scatena!
Gratelle che sfrigolano, nebbia in cucina, arrosto di pesce Sampietro sopra la tovaglia.
Amici: impugnate il coltello e la forchetta per la grande battaglia che si scatena!

Versi di Aldo Spallicci

Se a Natale in Romagna non c’è spazio sulle tavole se non per i mitici cappelletti in brodo, a Pasqua ogni “cibo vale” e ciascuna famiglia ha un suo menù. Direte voi: dopo una colazione con la pagnotta di Pasqua, salame e uova benedette, ancora avete fame? Ebbene l’aria di mare mette un certo appetito e non si può dire di no a un buon piatto cucinato in casa. Partiamo quindi dai primi che a casa di mia suocera vanno per la maggiore. Devo fare una piccola premessa, perchè lei guarda tutti i giorni il meteo: ebbene se il tempo a Pasqua è brutto la Patrizia “mette su” un buon brodo sapido e unto di cappone, per poi preparare i passatelli da annegarci dentro. Se invece il giorno di Pasqua è clemente, via libera a lasagne o ancor meglio, alle mitiche tagliatelle al ragù.

A casa del mio amico Mauro la mamma Mina invece fa una pietanza un pò particolare, lo chiama salame matto. Si tratta dell’impasto dei passatelli avvolto in un canovaccio, data la forma di un salame e cotto nel brodo di carne. Viene poi tagliato a fette spesse e servito con o senza brodo. Per quanto riguarda i secondi, mia suocera predilige il coniglio in porchetta, cucinato in una grande pentola di coccio che fa sobbollire sul fuoco per ore. Vi assicuro che il sapore di quel coniglietto è qualcosa di paradisiaco. A casa mia invece, quando la mia mamma aveva ancora voglia di “spataccare” ai fornelli, si mangiavano gli alberini d’agnello impanati e fritti. Credo sia rimasto uno dei miei cibi preferiti. Ma c’è una ricetta antica che porta con se un’ immensa storia e che pochi conoscono (cattolichini compresi): è la testina d’agnello alla Marconi.

Si racconta ne “I mangiari di Romagna” un episodio avvenuto a Cattolica intorno al 1893/94, ma di cui non si parla in nessuna biografia. Un giovanissimo Guglielmo Marconi ancora 21enne, era solito passare le vacanze estive nella villa di famiglia, posta vicino al porto di Cattolica. Un giorno qualunque in prossimità della Pasqua, il giovane inventore dopo una lunga preparazione, diede vita ad un esperimento rimasto “sotto silenzio per l’ignoranza dell’ambiente nel quale ebbe luogo”. Cattolica infatti era all’epoca una cittadina di pescatori che non capì affatto l’importanza di tale avvenimento. Guglielmo armeggiò intorno al vecchio pozzo della villa, tutt’ora presente, per poi prendere il largo a bordo di un peschereccio armato di apparecchiature di sua manifattura.

Accanto alla barca lasciò un certo Bacchini detto “Zcon” che senza essere prevenuti, potrebbe essere l’abbreviazione dialettale di zuccone. Ma andiamo avanti. Questo aveva istruzioni ben precise da svolgere così che come previsto, dal pozzo si levò un boato accompagnato da un denso fumo bianco. Si racconta che il povero Zcon ebbe una paura del diavolo, ma come promesso, fece ugualmente il segnale prestabilito alla barca. Una volta a terra, Guglielmo abbraccio il poveretto esclamando raggiante “Abbiamo vinto!”. Zcon ovviamente non capì nulla dell’accaduto e rispose: “Sè, avem vint, mo la pavura ch’a ho vu me?” Ok abbiamo vinto, ma la paura che ho avuto io? (Chi me la rimborsa?).

Mi viene da dire: forse l’importanza dell’avvenimento a cui hai assistito sarebbe già un buon compenso, perchè pare che fu proprio in quel giorno che si fece la storia. La stessa sera si festeggiò la riuscita dell’esperimento a casa di Vincenzo Filippini, macellaio di Cattolica, notabile del paese e futuro sindaco. In quell’occasione venne servita proprio una testina d’agnello preparata da Filippini e che Marconi gradì pienamente.

Casadello o latteruolo cibo della tradizione romagnola

Quando si parla di cibi della tradizione romagnola è dovere nominare il supremo Pellegrino Artusi che, per chi ancora non lo sapesse, è il gastronomo più famoso di tutti i tempi. L’Artusi nacque a Forlimpopoli nel 1820, quindi romagnolo doc e il suo libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene è, ancora oggi, fonte di sapere e conoscenza. Il suo approccio è didattico, infatti “con questo manuale pratico – scrive Artusi – basta si sappia tenere un mestolo in mano”. Le ricette sono accompagnate da riflessioni e aneddoti dell’autore, che scrive con uno stile arguto ed ironico. Ecco che tra le pagine di questa bibbia gastronomica, si legge di un dolce dal retaggio antichissimo e dall’origine campana, arrivato in Romagna sui carri dei viandanti che a Cattolica transitavano percorrendo la vecchia via Flaminia.

Parlo della ricetta n° 694 del casadello romagnolo o latteruolo, che i contadini portavano, durante le festività, ai padroni degli agri. E’ un dolce dalle umili origini, veniva consegnato in una teglia fatta di pasta matta che fungeva da involucro, visto che non ci si poteva permettere di regalare la teglia di casa propria. L’ingegno romagnolo e l’animo generoso che nonostante le difficoltà trovava sempre una soluzione, è ciò che mi fa amare questo dolce antico. Anche Vittorio Tondelli in “A tavola con il contadino romagnolo” ricorda i Patti Generali dell’abbazia cesenate di S. Croce del 1773 dove “é latarol”  era oggetto di regalia nei patti mezzadrili in occasione del Corpus Domini. La ricetta del “Casadello” si trova a pagina 173 de “I mangiari di Romagna”; la mia edizione è la quarta datata 1975.

…. e Buona Pasqua a tutti!

Articolo di Lara Uguccioni

Piccolo glossario italo-romagnolo:

‘zdora o ‘azdora è la regina incontrastata della casa, perchè in Romagna comandano le donne. Da sempre.
baganelli sono i paganelli chiamati in italiano anche ghiozzetti.
fighetti o fichetti: sono quelli che “se la tirano” come si dice a Cattolica. Coloro che non hanno altra mira che farsi notare.
mazzola o gallinella di mare. Qui da noi si dice: “T’è na testa come na mazzola” parlando con qualcuno che con tutta probabilità, ha un cervello molto molto piccolo.
ramaiola è una schiumarola in acciaio che si usa solitamente per eliminare la schiuma che sale in superficie durante la bollitura dell’acqua. Per “tirare su” i passatelli da “e brod” è perfetta.
spaghet sli puraz sono letteralmente i mitici spaghetti con le vongole che nessuno mai qui in Romagna ha chiamato “lupini”.
Se a Cattolica chiedi “Vorrei dei lupini” sappi che non ti porteranno una porzione di vongole, ma i frutti gialli del lupino bianco che si mangiano in salamoia. Quindi occhio!
gradella o gradela è la graticola, quella che si appoggia sul “fuocone” unico e solo attrezzo che può cucinare il pesce arrosto. In Romagna se hai il barbecue sei uno sfigato.
mettere su è il gesto di posizionare sul fuoco una pentola per cuocere qualsiasi pietanza. Es: Met su e bròd, movte clè terd e me a ho fèma”: “metti su il brodo, muoviti che è tardi e io ho fame”.
spataccare: darsi da fare animatamente

Fonti e citazioni:
romagnapost.it
Mangiari di Romagna – G. Quontamatteo, L. Pasquini, M. Caminiti – Edizione 1975

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Teresa
Teresa
7 mesi fa

Gli spaghet sli “puràz” sono in assoluto i miei preferiti, e per fortuna si trovano anche qui in Veneto! Mi piacerebbe scoprire se la ricetta è la stessa! Quante cose sfiziose vi gustate in quel di Cattolica, a Pasqua! Mi fa piacere che non sia di tradizione il povero agnello da latte!

Cristina
8 mesi fa

Ottimi tutti i cibi che hai menzionato, ma i passatelli li batte tutti! Cattolica è una delle nostre mete estive, è molto carina

Francesca
Francesca
8 mesi fa

Incredibile quante suggestioni legate a un solo evento e una sola città!Dalla “colazione rinforzata” con le pagnotte preparate per tempo al “digiuno delle carni” che lascia spazio al pesce azzurro. Non ho mai capito questa rinuncia perchè sono i giorni in cui mangio meglio!Curiosa e calorosa la parte dove “ogni famiglia ha un suo menù”, vorrei assaggiare tutto!

Claudia
Claudia
8 mesi fa

Quante informazioni che hai fornito in questo post sulla Pasqua a Cattolica. Davvero non avevo idea che ci fossero cosi tanti cibi e tradizioni legate a questa citta’ e questo periodo.

Sara Slovely.eu
Sara Slovely.eu
8 mesi fa

Sin da piccola mi è sempre piaciuta la quaresima perché il venerdì si mangiava pesce (che altrimenti da noi in famiglia si consumava molto poco) e io lo adoro! Verrei a Cattolica il venerdì santo solo per gustarmi l’ottimo pesce azzurro fresco!

Federica
Federica
8 mesi fa

Ma quante cose che ho scoperto, mi è venuta voglia di venire a Cattolica in questo periodo. E’ un meta che potrebbe piacere in famiglia perché sono amanti del pesce, me compresa. E’ un articolo pazzesco!

La Kry
8 mesi fa

Per qualche motivo ora ho in testa l’immagine delle ‘zdore ai blocchi partenza per l’apertura del pescivendolo la mattina del Venerdì Santo… 🤣
Comunque sono un po’ invidiosa perchè qui a Parma non abbiamo ricette tipiche di Pasqua.
Sarà che non avendo il mare (e avendo un’abbondanza di porcilaie) a noi le feste di magro ci mettono sempre l’ansia!
Qui siamo più sul pezzo per Litha che per Ostara!

Veronica
8 mesi fa

Come origine pagana, la Romagna e il Galles hanno molto in comune. Il resto differisce molto e preferirei di gran lunga gustare i piatti della vostra tradizione che gli hot cross buns pasquali!

Eliana
8 mesi fa

Non solo agnello (per fortuna) ma anche tanto pesce e sfiziosità locali: in Romagna sanno proprio come rendere speciale qualunque festa e qualunque ricorrenza!

Sara Bontempi
Sara Bontempi
8 mesi fa

MI hai dato una bella idea, quest’anno siamo soli a Pasqua e l’idea di partire per qualche giorno a Cattolica non sarebbe per niente male!

Annalisa Trevaligie|Travelblog
Annalisa Trevaligie|Travelblog
8 mesi fa

Sono nata e cresciuta anch’io in una località di mare per cui sento sempre l’emozione del risveglio della cittadina durante il periodo di Pasqua, I lidi iniziano a sistemare e a pulire la spiaggia, potare le piante, tagliare i prati che durante l’inverno sono diventati foreste. Solo chi vive di mare può capire quanto sia emozionante..

Silvia The Food Traveler

Quasi non mi ricordavo di Pasqua! Sarà che dalle mie parti non ci sono tradizioni particolari: qui si prega, si va a vedere la Via Crucis, e si ricomincia a pregare. La Romagna come sempre ha una marcia in più, con tutte queste tradizioni culinarie e con queste cose buone da mangiare per festeggiare!

ANTONELLA MARIA MAIOCCHI

Quanto mi è piaciuto il tuo articolo e quanta simpatia romagnola ci ho trovato! Ho frequentato molto l’Emilia e un pò meno la Romagna ma la buona tavola accomuna le due parti di una stessa regione. Come regalo di nozze, la zia di mio marito mi ha regalato il Pellegrino Artusi e io ogni tanto lo leggo, non solo per le ricette, ma per quelle perle di saggezza contadina che mi fanno sempre sorridere

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