Zabriskie Point e lo sguardo coraggioso di un maestro
Nel luglio del 1968 iniziavano le riprese di Zabriskie Point , il discusso film di Michelangelo Antonioni che racconta la breve e tormentata storia d’amore tra Daria e Mark, figli della rivoluzione studentesca californiana degli anni ’60. Siamo a Los Angeles e Mark è un ragazzo di origini proletarie che aderisce alle riunioni rivoluzionarie all’università, avvezzo a mettersi nei guai partecipando alle violente rivolte studentesche. Daria invece è figlia della borghesia e per guadagnare qualche soldo, oltre a studiare, lavora per una grande compagnia immobiliare che progetta un villaggio turistico di lusso nel vicino deserto della California.
Mentre Mark compra una pistola quasi per gioco, partecipa ad una rivolta che costerà la vita ad uno studente e ad un poliziotto, ruba un aeroplano per scappare verso il deserto, per Daria la vita va avanti senza troppi colpi di scena.
Mentre lei viaggia in auto verso la Death Valley per recarsi ad un appuntamento in una lussuosa villa dove concluderà un grosso affare con i clienti della grande azienda per cui lavora, incontra Mark che, in volo dall’alto, segue la sua macchina. Si può dire un incontro alquanto insolito ed eccentrico. A lui finisce la benzina del velivolo e scende a terra, mentre lei esce dalla macchina divertita. E’ così che scocca la scintilla tra i due giovani. Sono passati più di 50 anni dall’inizio delle riprese della pellicola d’autore, ma ogni scena in questo cult movie è ancora attualissima, mentre la bellezza visiva e l’originalità del linguaggio attuano sullo spettatore un fascino eterno che difficilmente si perderà nel tempo.
Un viaggio chiamato amore
La prima cosa da capire è che questo film è un viaggio: quello di Daria e Mark, che nella valle si incontrano, si amano e si lasciano, ma anche quello del maestro Antonioni che si fronteggia con il cinema americano dopo Blow Up. Tra lui e l’America non scocca però l’amore, all’uscita del film gli statunitensi decretano il flop criticando il regista per la sua visione riduttiva e parziale dello stato americano. Visto come straniero in terra straniera, Antonioni ha invece una visione ampia e realistica della nazione durante la guerra del Vietnam che, senza filtri, trasporta nel film. Tra le dune di Zabriskie Point è girata l’onirica scena cult che descrive l’America del suo presente, così come viene vista dai ragazzi degli anni ’60.
Questa è la prima delle due sequenze più celebri del film: Daria e Mark si sono conosciuti da poco, ma simpatizzano a tal punto che si baciano e fanno l’amore nel deserto della Death Valley, la zona di massima depressione negli Stati Uniti. Attorno a loro si materializzano altre coppie, tantissime, a perdita d’occhio in tutta la vallata. Anche loro fanno l’amore fondendosi con la sabbia e la natura circostante, tra le note oniriche della chitarra di Jerry Garcìa dei Grateful Dead. La scena è di estrema intensità e rispecchia pienamente l’epoca in cui è stata ambientata. Anni in cui, per molti artisti, sembrava quasi indispensabile sottolineare l’importanza dell’amore puro giovanile, in contrapposizione al vecchio capitalismo sterile americano.
Film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni
Uno dei motivi per cui ho apprezzato questo film è che rispecchia totalmente quella controcorrente che, con le sue manifestazioni, idee e ribellioni, ha fatto si che le generazioni successive fossero libere di pensare ed esprimersi senza timore. Tutto in questa sequenza parla di amore. L’amore tra i due ragazzi, in un crescendo che finisce con la loro unione fisica, l’amore per un territorio che è meraviglioso e al contempo arido, come la nazione che lo ospita. L’amore del regista per il suo lavoro, l’attenzione ad una fotografia ricercata e perfetta, che scruta nel sogno e parla di colore e poesia. E’ proprio questa la scena più intrisa di poesia, incredibilmente monocroma, ordinata, in un intreccio di corpi innocenti ed innamorati.
Siamo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, la letteratura americana continua ad essere infervorata dal vitalismo della Beat Generation. L’Europa soccombe ai moti del Sessantotto tra un cinema d’essai e un altro. Il Vietnam è teatro di uno scempio che provoca indignazione in tutto il mondo. In tutto questo divenire, Antonioni divide il pubblico e la critica. Il suo cinema è troppo all’avanguardia, in pochi riescono a vederne l’unicità e la meraviglia. Ma ora, 20 anni dopo il 2000, tutto risulta chiaro così che il film visionario di Antonioni viene riabilitato e inquadrato come “uno dei più straordinari disastri della storia del cinema moderno”.
Il Finale in una festa di colori
Il candore della sabbia, la magia del deserto e il bianco e nero che predomina nella lentezza dei corpi che si toccano si contrappone a ciò che accade nella seconda parte del film. Dopo aver dipinto il monoplano con disegni pacifisti e colori sgargianti, i due ragazzi si separano sicuri di rivedersi. Mark riporta l’aereo all’aeroporto di Hawthorne, ma la polizia, la stampa e il proprietario sono già sulla pista ad attenderlo. Dopo l’atterraggio Mark non si ferma all’alt della polizia, che spara e lo uccide. Lui viene ucciso dalla polizia appena sceso dal velivolo rubato, mentre lei si prepara all’incontro alla villa.
Daria scopre della morte di Mark dalla radio dell’auto e dopo un lungo pianto disperato, mentre la contrattazione dell’affare in villa continua, decide di non voler aver nulla a che fare con il business dell’azienda che rappresenta e va via in auto. Allontanatasi quanto basta, esce dall’auto e fantastica guardando lontano. Immagina la distruzione totale di quello che la meravigliosa casa rappresenta. La villa esplode in mille pezzi facendo volare in aria suppellettili, librerie, vestiti, elettrodomestici, cibo e ogni sorta di oggetto che rappresenta l’era consumistica in cui vive l’America. Daria risale in macchina e scompare all’orizzonte mentre il cielo si infuoca della luce rossastra del sole al tramonto.
Zabriskie Point Antonioni
L’esplosione della villa è un grandioso rallenty apocalittico, realizzato con 17 macchine da presa. Rappresenta la distruzione dei simboli del consumismo, della cultura occidentale, con tratti di richiamo all’action painting di Pollock e di Kooning. Come nell’arte anche qui i colori esplodono letteralmente, gocciolando verso il basso come su di una tela. Questa è la seconda sequenza più celebre del film, quella che personalmente adoro, proprio per il suo rimando all’arte contemporanea. Una lunga e magica sequenza dove la musica dei Pink Floyd prende vita dando consistenza materica, portando lo spettatore ad indietreggiare come se la scena, uscendo dallo schermo, potesse colpirlo. I colori hanno la meglio sul monocromo del deserto che passa inevitabilmente in secondo piano. Altrettanto vive le sfumature del tramonto che chiude romanticamente la pellicola mentre in sordina alla radio passa So young di Roy Orbison.
Ecco che qui, tra il giallo ed il rosso del tramonto, si vede l’amore che Antonioni ha per Mark Rothko, alla sua poetica espressionista, all’astratto che ha sempre rappresentato in ogni sua opera. Trovo geniale e contemporaneo questo approccio al cinema, arte essa stessa quando viene creato da maestri come Antonioni.
Lo sguardo coraggioso del maestro
Lo sguardo del maestro Antonioni è coraggioso e irriverente verso una società, quella americana, che lo ha ospitato per girare ben 3 film, ma di cui lui ne critica a pieno la politica repressiva e l’impietoso capitalismo. Per chi come me ha studiato ed amato il regista ferrarese, non passano in secondo piano le sue “finezze” descrittive. Il film è ricco di metafore ed ogni dettaglio ha un suo significato. Nella prima parte del film, quando ancora i due ragazzi vivono le loro vite così diverse, le inquadrature che raccontano la storia di Mark sono volutamente mosse e dai colori logori, come a simboleggiare il realismo crudo e pericoloso del movimento studentesco. La storia di Daria, al contrario, è raccontata con grazia, tra ricchi arredi in una luce brillante simbolo delle stelle lucenti di Hollywood.
Il regista ha scelto di ambientare la scena onirica della storia d’amore tra Daria e Mark nel deserto, visto come simbolo dell’America “pulita”, quella parte di una Nazione non ancora contaminata dalle multinazionali e dal capitalismo. Solo qui l’amore poteva essere in grado di sbocciare, così come sbocciano dal nulla i corpi dei tanti ragazzi che si amano come fiori nati sulla sabbia del deserto.
Zabriskie Point Antonioni
Ma è soprattutto nella morte di Mark che si vede la coraggiosa denuncia del regista a quello che all’epoca è chiamato ad essere il paese più civile del pianeta Terra. Forze dell’ordine senza scrupoli che ammazzano un ragazzo ancor prima di sapere se è colpevole. E’ una scena forte ed attuale anche per lo spettatore contemporaneo. Nelle ultime scene in cui Daria sa della morte del suo amato, i colori patinati di Hollywood tornano a descrivere l’infondatezza della classe dirigente e la futilità del lusso sfrenato nella villa. E’ il momento in cui Daria realizza a pieno la bugia raccontata da quelle persone superficiali e dal loro finto benessere. La ragazza così scappa veloce nel deserto ed è qui che la tensione si spezza e lo spettatore si distende nuovamente, tra i colori caldi e rilassanti della natura.
Come finale suggestiva e spettacolare è la scena dell’esplosione in slow-motion della villa nel bel mezzo del deserto. Simbolo del consumismo, si vede al rallentatore (con l’uso di 17 telecamere) saltare in aria in mille pezzi. Mobili, vestiti, elettrodomestici, cibo quali beni di un consumismo che sa solo accumulare, come metafora dell’esplosione del sistema economico capitalistico e della sua corruzione.
Tra sogno e realtà
Quello che conta, per Antonioni, non è la sceneggiatura, la storia passa in secondo piano per dare risalto all’espressione visiva, allo sguardo del regista. Quando si guarda Zabriskie Point, si viene catturati dalle immagini, si sente il caldo del deserto, il vento colpire l’aeromobile, si patisce la tensione assieme ai personaggi in cui ci si immedesima immancabilmente. Nella fantasia di questo assoluto genio visionario due realtà contrapposte si scontrano: sono le vite dei due ragazzi, così diverse da viaggiare su binari opposti. E’ come se in quel deserto, un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, si potesse avverare qualsiasi desiderio ed ecco che i protagonisti si incontrano, nel modo più surreale possibile.
I due si fondono in una simbiosi, come se non facessero più parte della vita terrena con le sue angosce, paure del domani e sogni, diventando un insieme di corpi oltre che di anima. Solo loro e nient’altro, almeno per un pò. Dura il tempo di una poesia, tutta la meraviglia di una passione che nasce e si consuma in un luogo neutro, monocromatico, quasi a simboleggiare un limbo primordiale dove i due amanti possono sentirsi al sicuro. In questo film, infatti, come in tutto il filone anni ’60/’70 dei cult road movies, il contatto con la natura è determinante. Il deserto della Death Valley non fa solo da sfondo, ma è la culla della storia che accoglie i due ragazzi, li coccola, li protegge e gli fa da guida scaldandoli con il suo calore.
Zabriskie Point Antonioni
Fino a quando sono lì saranno protetti, potranno sognare, si potranno realizzare, una volta usciti dal deserto, moriranno in quel contesto urbano simbolo di oppressione e di perdita dei valori. Per capire il cinema di Antonioni è fondamentale capirne la sua simbologia, che è tanta e meravigliosa come le sue inquadrature, l’uso della cinepresa, della luce e del colore, del montaggio e non per ultimo, del suono. La musica è la protagonista. Nella scena dell’esplosione, la melodia dei Pink Floyd mette in evidenza l’eterna battaglia tra i vecchi potenti e la voglia di evasione e di cambiamento della nuova generazione. Questo film è da vedere assolutamente e ne vale la visione anche solo per le musiche mitiche.
Scritto da Sam Shepard, Tonino Guerra e Clare Peploe (futura moglie di Bernardo Bertolucci), Zabriskie Point venne musicato oltre che dai Pink Floyd, di cui Antonioni però paradossalmente usò solo tre brani, anche da Jerry Garcia dei Grateful Dead e dal grande chitarrista John Fahey. Il regista aveva anche provato a contattare i Rolling Stones, che però erano in tour e avrebbero voluto una cifra astronomica per fermarsi, nonché i Doors e Jim Morrison, con cui però non se ne fece nulla. Zabriskie Point alla sua uscita è stato stroncato dalla critica. Particolarmente dura fu quella americana, perchè venne ovviamente toccato un tasto dolente per l’epoca storica.
La critica italiana invece si spaccò in due, ma riconobbe la grandezza del regista, il suo coraggio di denuncia, i meravigliosi scenari, la maestosità dell’evocativa scena finale e la grande innovazione che portò al cinema: l’utilizzo della musica rock nella colonna sonora.
Articolo di Lara Uguccioni
Film Zabriskie Point di Antonioni
Film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni
Ho attraversato la Death Valley per ben due volte e quindi ho visto Zabriskie Point; però non avevo idea che ci fosse un nome con lo stesso titolo. Adesso che lo so, corro a cercarmelo e lo guardo subito. Grazie per la dritta!
Grazie a te Teresa di essere passata qui 🙂 un abbraccio!
Articolo veramente interessante come tutti quelli che scrivi!Ammetto di non aver mai visto il film di cui parli ma mi hai fatto venire una grande curiosità! Lo guarderò 🙂
Grazie del complimento Martina, mi fai davvero felice! Questo vecchio film è un vero cult, da vedere sia che hai visitato lo Zabriskie o che non ci sei mai stata, perchè quel deserto è stupendo, ancora più bello dal vivo che sulla pellicola.
Oddio… non riesco a smettere di ridere! Foffoco!!!
Scusa, scusa, non è colpa tua ma sono stata vedere Zabriskie Point anni fa e arrivati lì, sarà stato il fatto che era l’alba e avevo dormito pochissimo, sarà che nella notte avevamo pure preso un terremoto, io e il marito abbiamo cominiciato dire, come all’inizio del tuo articolo: “Il film di Michelangelo Antonioni che racconta…” e dopo veniva attaccata una frase diversa, ognuna sempre più stupida e delirante della precedente, che parodiava al meglio il vero film…
Questo articolo, sebbene abbia un taglio romantico e un po’ nostalgico adattissimo alle atmosfere ora vintage di Antonioni, mi ha riportato alla mente quelle gag, così ho detto ad alta voce la frase e, dall’altra stanza, il marito ha riattaccato con una delle versioni più stupide… e ora non riesco a smettere di ridacchiare!
Scusa per il commento delirante ma sappi che qui abbiamo davvero apprezzato l’articolo e siamo stati davvero felici di averlo potuto leggere, perchè ci ha riportato alla mente bellissimi ricordi!😂 🤣
Ahahahhahahah adesso però Kry scrivi un articolo con i vostri deliri in cima allo Zabriskie Point, perchè non mi immagino cosa avete mai potuto dire. Adesso sono davvero curiosa!!
Grande artista e questo film è uno dei mie preferiti. Grazie Lara per averne parlato, a distanza di così tanti anni si è forse un pò perso il ricordo del nostro magnifico cinema tra neorealismo e modernismo.
Sono anch’io un viaggiatore, vado alla ricerca di posti insoliti e come te parto con lo scopo di visitare set di film, serie tv e posti che hanno ispirato gli artisti del passato. Mi piace quando scrivi, i tuoi non sono i soliti post su cosa trovare e dove andare, ma il racconto rimanda sempre a qualcosa che ha a che fare con l’arte, la letteratura, il cinema, quindi li trovo molto interessanti. Si vede che sei una persona curiosa, e anche io. Brava!!!