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Ciambellone, storia di un semplice e antico dolce romagnolo

Indice

L’autunno è arrivato, e con lui quella brezza leggera che finalmente spazza via l’afa estiva. Dopo settimane di caldo opprimente, posso finalmente aprire le finestre e respirare a pieni polmoni l’aria fresca e pulita che porta con sé il profumo delle foglie bagnate. Il cielo qui in Romagna ha cambiato volto, adesso si veste di grigio, ma di quel grigio rassicurante che accompagna le prime piogge leggere, le stesse che cadono sulla sabbia e si mescolano al rumore del mare. Ogni anno, l’arrivo dell’autunno mi regala una sensazione di nuovo inizio. È come se tutto rallentasse, come se la natura stessa si prendesse il tempo di tirare il fiato, e io con lei. Finalmente, posso rimettere mano alla cucina, accendere il forno e sentire il tepore che si diffonde per la casa.

In quel momento so esattamente cosa preparare: il buon vecchio Ciambellone. Non è solo un dolce, ma un rituale che segna il passaggio delle stagioni, il momento perfetto per accogliere le giornate più corte con una fetta di semplicità. Il Ciambellone è il profumo dell’infanzia, il sapore della tradizione, è quel dolce che si fa sempre, senza troppe cerimonie, ma che non delude mai. Si sposa con il caffè della mattina, con una tazza di tè nel pomeriggio e trova il suo posto d’onore quando viene intinto in un bicchiere di vino rosso. È il dolce di casa, quello che fa sentire che l’autunno è davvero qui, tra i colori delle foglie che cadono e il profumo di castagne che si arrostiscono al fuoco.

Pillole di storia romagnola

Ciambellone con la marmellata

La Romagna è una terra ricca di storia, dalle radici profonde che attraversano millenni. Non si tratta solo di una regione, ma di un territorio che porta con sé una cultura vibrante, fatta di tradizioni, paesaggi e sapori inconfondibili. Quando si parla di Romagna, si pensa subito alle sue province: Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini, ma la sua anima si estende ben oltre i confini amministrativi. Se si esplora un po’ più a fondo, magari con una rapida ricerca su internet, si scopre che la Romagna abbraccia anche parte della provincia di Bologna, come Imola e i suoi dintorni, e si allunga fino alla provincia di Pesaro-Urbino, comprendendo il Montefeltro, Gabicce Mare, Gradara e persino una fetta del Comune di Pesaro. Ma non finisce qui: si considera romagnola anche una piccola parte della Toscana, con i comuni di Badia Tedalda e una frazione di Sestino, in provincia di Arezzo.

Firenzuola, Palazzuolo sul Senio e Marradi, nella provincia di Firenze, condividono un legame profondo con la mia terra. Nel 1400 Palazzuolo ebbe i suoi Statuti, e costituì con Firenzuola il primo nucleo di quella Romagna Toscana che giunse alle porte di Forlì, per poi ridursi di nuovo alle valli dell’Alto Mugello nel 1929. Questa estensione geografica è il riflesso di una storia che ha visto il territorio romagnolo influenzato da culture e popoli diversi, ognuno dei quali ha lasciato una traccia nel cuore di questa terra. Le radici della Romagna affondano nella preistoria. Pochi sanno che uno dei siti preistorici più antichi d’Europa si trova proprio qui, a Ca’ Belvedere, nei pressi di Monte Poggiolo, vicino Forlì. Migliaia di reperti, risalenti a circa un milione di anni fa, sono stati scoperti in questa zona, gettando una nuova luce sulla storia del continente europeo.

Questi ritrovamenti, oggi custoditi a Cesena, sono testimoni di una Romagna che ha visto passare millenni di vita umana. I primi abitanti di cui abbiamo memoria furono gli Etruschi, popolo misterioso che dominava buona parte dell’Italia centrale. Tuttavia, intorno al 350 a.C., fu un altro popolo leggendario a imprimere il proprio sigillo sulle tradizioni romagnole: i Celti. Arrivarono dal nord, scendendo verso la Gallia Cisalpina, l’area che dalle Alpi si estendeva fino alla Pianura Padana, e si spinsero fino all’Appennino e oltre, arrivando a Senigallia. In Romagna, si stanziarono lungo la costa, lasciando un segno indelebile. A Cattolica, per esempio, la tribù dei Senoni trovò la sua dimora, e la loro eredità si può ancora percepire nelle tradizioni locali, nei nomi e nei miti che affiorano qua e là come antichi eco di un tempo lontano.
I Celti erano noti per la loro forte connessione con la natura e i cicli stagionali, valori che potrebbero aver influenzato il profondo legame dei Romagnoli con la terra.

Anche se le tradizioni celtiche si sono in parte perse nel tempo, alcune influenze possono essere rintracciate in celebrazioni agricole e in antichi riti locali, come il legame con il solstizio e l’equinozio, momenti cardine per le comunità celtiche. Anche se l’influenza più evidente sui costumi romagnoli è quella romana, i Celti potrebbero aver gettato le basi per alcuni aspetti delle tradizioni locali. Ad esempio, il concetto di ospitalità e il valore della convivialità nelle comunità rurali possono avere radici celtiche. I Celti erano noti per le loro feste comunitarie e il forte senso di appartenenza al clan, una caratteristica che sembra riflettersi nelle tradizioni sociali e culinarie della Romagna, dove la tavola e l’accoglienza sono al centro della vita quotidiana.

Storia di una ciambella senza il buco

Il Ciambellone con la nutella

La Romagna ha sempre avuto un carattere aperto, influenzata dalle culture che l’hanno attraversata, ma capace di mantenere una forte identità. Le sue radici celtiche hanno contribuito a formare quel legame indissolubile con la terra, con la natura e con le tradizioni che ancora oggi caratterizzano questa regione unica. Ogni città, ogni borgo, porta con sé frammenti di storia che si mescolano ai profumi del mare, ai suoni dei mercati e al calore della sua gente. Ed è così che nasce la tradizione culinaria romagnola, dove , la Piada dei Morti, dolce di Cattolica, ha proprio origine dal popolo celtico. Queste tribù erano solite festeggiare i diversi dèi che veneravano ed una delle feste pagane per eccellenza era Samhain, il loro capodanno.

Era proprio in tale occasione che, per propiziare dèi e morti si cucinavano cibi ricchi con frutti di stagione. Ecco che da allora è arrivata fino ai giorni nostri la Piada dei Morti o Piada d’autunno, ricca di noci, pinoli, mandorle e uva passa tipica di questa stagione di mezzo. Ma come vi dicevo, il “nonno” della tavola romagnola rimane il Ciambellone, che sicuramente ha anch’esso origini antiche, dato che la ricetta è sempre stata tramandata oralmente e varia di casa in casa. Il ciamblòn o zamblôn si distingue dalle altre ciambelle per la sua forma unica: non ha il classico foro centrale, ma assomiglia più a un panetto o un filoncino. In più è secco, da accompagnare ad un bicchiere di vino o al latte a colazione. Le ‘zdore romagnole, custodi delle tradizioni culinarie, preparano l’impasto con ingredienti semplici e genuini: farina, zucchero, uova fresche, strutto, latte e lievito.

Il Ciambellone della Daniela

Fino a non troppo tempo fa, l’impasto veniva steso sulle teglie e, dopo aver prenotato un turno, veniva portato a cuocere al forno del paese. Erano tempi in cui gli elettrodomestici erano un lusso riservato a pochi, e la cottura nel forno collettivo era un rituale che univa la comunità. Oggi, le dosi degli ingredienti variano da famiglia a famiglia. Alcuni adattano la ricetta per praticità o per ridurre i grassi, sostituendo lo strutto con il burro. C’è chi preferisce un impasto compatto, quasi privo di alveoli, chi crea un ciambellone più denso e rustico, e chi invece lo lavora in modo da ottenere una consistenza più cremosa e soffice, ma sempre tendente al secco. Anche la decorazione varia: alcuni lo cospargono di granella di zucchero, mentre altri optano per lo zucchero semolato.

Un tempo, una volta sfornato, il ciamblòn veniva riportato a casa, disposto su un tagliere di legno e coperto con un canovaccio per mantenerlo fresco durante la settimana. Ora poco è cambiato, perchè questo è un dolce che conserva la sua bontà per diversi giorni, e anzi, i “vecchi” della Romagna sostengono che sia ancora più saporito quando diventa ancora un po’ secco, perfetto da inzuppare nel vino o nel latte. Personalmente adoro la versione con lo zucchero semolato e mangio sempre volentieri quello preparato da mia cognata Daniela, esperta di dolci “fatti in casa”. Il suo è un impasto piuttosto consistente e il dolce da cotto risulta adatto ad essere inzuppato nel vino. E’ un mangiare della festa, sempre presente la domenica quando si gusta dopo pranzo con un bicchiere di Albana oppure di vino novello o di passito.

Può essere servito all’ora del caffè, mangiato a merenda o a colazione, insomma ogni momento è quello giusto per assaggiare una fetta di ciambellone.

La ricetta nei Mangiari di Romagna & co.

In Mangiari di Romagna, vecchio libro di cucina di mio babbo che conservo come una reliquia, datato 1960 (la mia edizione è del ’75), la ricetta viene così espressa. ” Mezzo chilo di farina. 180 grammi di zucchero, 90 grammi di burro, due uova, odore di buccia di limone o anche di cedro candito in pezzettini, oppure di anici. Il tutto per una dose di 15 grammi di cremore di tartaro e 5 di bicarbonato di soda. Fare una buca nella farina per mettervi il burro sciolto, le uova e lo zucchero. Intridere la farina con tali ingredienti e col latte che occorre, per formare una pasta consistente. Le polveri e gli odori si aggiungono in ultimo, Fare qualche incisione sulla superficie dorandola col rosso d’uovo, cuocendola al forno, dopo aver unto la teglia col lardo”.

E’ interessante come in un libro che parla di “mangiare perduto”, di folklore e storia romagnola, la ricetta antica ha come base il burro e non il lardo. E’ comunque vero, come cita il retro copertina, che “le ricette sono rigorosamente reali documentate da appassionate testimonianze di cuochi di razza, o da antiche tradizioni tramandatesi da azdora ad azdora.” Questo fa capire come la ricetta varia di casa in casa ed incredibilmente non è mai la stessa. Nel libro La Rustida Bianca di Umberto Ricci, al burro viene preferito il lardo, ingrediente antico e molto usato nella nostra zona. La sua è la ricetta tipica cattolichina, sicuramente parte della sua famiglia che agli ingredienti di base aggiunge:

 “20 gr di uvetta sultanina, preventivamente marinata in un bicchiere di vino passito, quindi ci verso un pò alla volta 150 ml di latte intero, impasto il tutto e ottengo un composto morbido che distribuisco sulla diagonale di un foglio di carta paglia nella teglia.”

Il ciambellone è ovunque!

Oggi, il ciambellone resta il dolce della festa per eccellenza, un simbolo di convivialità e tradizione che non passa mai di moda. Lo trovi in ogni sagra di paese, dove spicca tra i profumi delle bancarelle, e in ogni party in riva al mare, dove accompagna le serate estive con la sua semplicità. Le osterie, fedeli custodi della cucina romagnola, lo offrono sempre a fine pasto, servito con un buon grappino che ne esalta i sapori rustici e genuini. E quando negli alberghi della Riviera si celebra la “Serata Romagnola”, il ciambellone non può mancare. Viene servito come dolce tipico, magari accompagnato da un bicchiere di vino dei colli romagnoli, un perfetto connubio tra territorio e tradizione. Nonostante la sua origine antica e la ricetta semplice, il ciambellone non ha mai perso il suo fascino.

È un dolce che parla di radici contadine, di una cultura che ha sempre dato valore alle cose genuine, fatte in casa, con ingredienti semplici e con amore. In un mondo in cui le mode culinarie cambiano alla velocità della luce, il ciambellone resiste imperterrito, perché è molto più di un dolce: è un pezzo di storia, un ricordo condiviso da generazioni, una dolcezza che non si dimentica. E non è un caso che, dalle nostre parti, il ciambellone sia sempre così amato. La tradizione contadina e marinara qui è sacra, e si fa a gara per mantenerla viva, per non lasciare che i sapori del passato sbiadiscano nella modernità.

Ogni fetta di ciambellone è un piccolo tributo a quel patrimonio di sapienza e semplicità che rende la Romagna un luogo unico, dove il passato non è solo un ricordo, ma un’eredità viva, che si tramanda di tavola in tavola, di festa in festa.


Articolo di Lara Uguccioni

Photo credits:
Ciambellone con la marmellata: PH. Youtube di Cristina Camorani

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Eliana
Eliana
1 mese fa

Mi hai sbloccato un bel ricordo: quando ero piccola ogni estate andavamo a Bellaria al mare almeno per 10 giorni e alla mattina, nello stesso hotel di sempre, c’era il ciambellone al cioccolato. Un dolce che amo, soffice e gustoso, che non manco mai di prendere quando faccio colazione negli hotel!

Veronica
1 mese fa

Interessante scoprire come le tradizioni romagnole derivino da una tribù celtica. Fino ad arrivare alla cucina! Non avevo mai sentito parlare della Piada dei Morti ma sembra buonissima e mi piacerebbe provarlo. Grazie della ricetta, spero di cimentarmi presto! 

Claudia
1 mese fa

Quando penso al ciambellone sicuramente non mi viene in mente questo dolce! Da noi a Milano la ciambella ha sempre il buco, nonostante il proverbio! Ma questo ciambellone sembra lo stesso buonissimo!

Annalisa Trevaligie|Travelblog
Annalisa Trevaligie|Travelblog
1 mese fa

Sono le stesse emozioni che provoca in me il profumo del “tortano” gaetano. Un misto di bontà e di profumi che mi legano in maniera indescrivibile alla mia terra. Può un dolce essere un pezzo di cuore?? Si, e vedo che lo è anche per te.

Silvia The Food Traveler
Silvia The Food Traveler
1 mese fa

Mi piace sempre leggere questi articoli sulla storia della Romagna, dove torno sempre volentieri. Non sapevo per esempio che i suoi confini fossero più estesi di quelli “ufficiali”!
Fino a quando ero bambina anche dalle mie parti si trovava un dolce molto simile: una sorta di ciambellone a forma di filone, diffuso nel periodo di Pasqua. Ora però non si trova più nelle panetterie. Segno che devo tornare in Romagna se voglio di nuovo mangiarlo!

Antonella
Antonella
1 mese fa

La brazzadella deve essere la sorella emiliana del tuo ciambellone, mia cognata la prepara con all’interno la marmellata di amarene brusche e io inizio sempre a mangiucchiare lo zucchero semolato. Hai ragione, è un dolce che sa di casa, di amicizia e di chiacchiere allegre. Viva la Romagna

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