Sua maestà la Tagliatella all’uso di Romagna
Indice
- L’identità delle tagliatelle
- La vera azdora romagnola: chi è?
- Facciamo le tagliatelle?
- Tagliatella all’Artusi, ambasciatrice nel mondo
- E il condimento?
Da buona romagnola mi è praticamente impossibile immaginare qualcuno che non ami le tagliatelle. Seriamente, se incontrassi una persona del genere, la guarderei con il sospetto riservato ai marziani o a chi mette l’ananas sulla pizza. Queste meravigliose strisce di pasta all’uovo dorata, solitamente abbinate a un ragù di carne che farebbe commuovere anche il vecchio Scrooge, sono per me un vero e proprio monumento gastronomico italiano. E’ per questo che, ogni volta che mi mettono davanti un piatto di tagliatelle fumanti, sento l’orgoglio romagnolo crescermi dentro, come la schiuma che sale quando si monta un cappuccino. E se qualcuno osasse dire che non gli piacciono, bè allora lo considererei una minaccia alla cultura culinaria italiana, degna di essere affrontata con la forchetta sguainata.
A casa mia le tagliatelle sono un must-have per ogni occasione importante, da un pranzo con ospiti di riguardo a una domenica in famiglia. Sì, lo so, si dice che l’origine delle tagliatelle sia bolognese, ma noi romagnoli le abbiamo adottate e, diciamolo pure, migliorate con il nostro tocco speciale. Ma vuoi mettere la soddisfazione di gustare un piatto di tagliatelle al ragù seduta a un tavolo con vista mare? Il vento che ti scompiglia piano i capelli, il sole che fa capolino tra le poche nuvole nel cielo blu dell’Adriatico e tu lì, con il tuo piatto fumante davanti. Ma cosa potresti desiderare di più? Un Lucano?
Diciamolo pure, in Romagna abbiamo tutto il necessario per la felicità: buon cibo, buona compagnia e una vista che fa invidia a un quadro impressionista. E se il vento decide di portarti via il tovagliolo, almeno avrai una scusa per un’altra porzione di ragù!
L’identità delle tagliatelle
Semplici da preparare e immense da gustare, le tagliatelle sono un capolavoro della nostra tradizione culinaria. La loro origine è avvolta nel mistero, ma è probabile che risalga agli antichi Romani o forse persino agli Etruschi e ai Greci. Gli abitanti dell’Impero Romano, famosi per la loro opulenza e passione per la buona tavola, preparavano una sorta di pasta simile alle tagliatelle, utilizzando farina e acqua, che poi veniva tagliata in lunghe strisce grossolane. Questo antenato delle tagliatelle moderne era condito con salse a base di carne e formaggio, creando così un pasto sostanzioso e nutriente.
Alcuni storici invece ritengono che ancor prima, gli Etruschi preparassero una pasta fatta con farina di farro, che veniva poi tagliata a strisce e cotta. I Greci, dal canto loro, avevano una ricetta simile, che chiamavano “laganon,” da cui deriva il termine “lasagna”. Queste antiche civiltà hanno probabilmente influenzato i Romani, che a loro volta hanno perfezionato e diffuso la pratica di fare la pasta in tutto il loro vasto impero. Già nelle “Satire”, il poeta Orazio parlava di un “cibo d’oro” chiamato “lagane” con i ceci: sembra fossero una pasta fatta da strisce larghe di sfoglia a base di grano, molto simili appunto, alle odierne lasagne.
Sua maestà la Tagliatella all’uso di Romagna
Ovviamente, da buona romagnola, ciò che mi interessa di più è sapere cosa dice il Maestro Artusi a proposito della tagliatella. Vi chiederete perchè tanta venerazione, e io ve lo spiego prendendola non troppo “alla larga”. L’Italia si unisce nel 1861, ma per gli italiani “terra terra” come me, il vero evento storico arriva trent’anni dopo, nel 1891, con la nascita dell’Unione Gastronomica delle Regioni Italiane. E chi è l’eroe dietro questa impresa? Nientemeno che Pellegrino Artusi di Forlimpopoli, paese che, per chi non lo sapesse, dista ben 10 chilometri da Forlì. Artusi non solo scrive e pubblica a sue spese la prima edizione del mitico volume datato 1891 La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene a cui seguono altre 100 edizioni, tanto per gradire, ma lo fa con l’intenzione di creare “un manuale pratico per le famiglie” composto da 790 ricette regionali.
Quindi ricapitoliamo: se Garibaldi unificò l’Italia geograficamente e Manzoni cercò di farlo sul piano linguistico, va da sé che il nostro Artusi riuscì a unificare i gusti a tavola degli italiani.
Ma facciamo diversi passi indietro quando, nel 1500, l’ecclesiastico e scrittore romagnolo Tommaso Garzoni, colui che descrisse per primo il termine “democrazia” (e scusate se è poco), nei suoi scritti coniò il termine “tagliatella” preferendolo al maschile “tagliatelli”. E’ così che, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, l’indiscusso guru della cucina italiana, prese questo termine “garzoniano” e lo divulgò. Forse l’Artusi aveva intuito che un piatto così sublime meritava la delicatezza di un nome tutto al femminile.
Sua maestà la Tagliatella all’uso di Romagna
Arriviamo così al 1931, quando l’umorista Augusto Majani decise di intervenire sul “tagliatella affair” con la ferma intenzione di nobilitare le origini bolognesi di questa celebre pasta all’uovo. Secondo la sua versione dei fatti, che è una pura favoletta, nel lontano 1487, durante il passaggio di Lucrezia Borgia per Bologna diretta a Ferrara per il matrimonio con il Duca Alfonso d’Este, Giovanni II di Bentivoglio, signore della città, ebbe un’illuminazione culinaria. Chiese al cuoco di corte, tal Zefirano, di preparare una ricetta speciale per onorare i biondi capelli della nobildonna. Il cuoco, con la sua maestria senza eguali, decise di tagliare le tradizionali lasagne bolognesi in lunghe strisce dorate, dando così vita alle famose tagliatelle. Ecco che, una pasta che avrebbe potuto essere chiamata “capelli d’angelo”, divenne nota come tagliatelle, testimoniando l’ingegno e la creatività dei bolognesi nel trasformare un semplice pasto in un omaggio aristocratico.
Tra tutte queste storie vere o presunte tramandate oralmente, una cosa è certa: il nome “tagliatella” deriva dal verbo “tagliare”. Era il 1972 e per mettere un punto alle strane dicerie e leggende che circondavano questa pasta, la delegazione bolognese dell’Accademia Italiana della Cucina ha preso una decisione drastica. Presso la Camera di Commercio della città emiliana, depositò la misura della vera tagliatella, accompagnando il tutto da un campione di tagliatella in oro zecchino. Da quel momento in poi, non c’è stato più spazio per l’errore: la misura perfetta della tagliatella sarebbe stata la 12.270esima parte dell’altezza della Torre degli Asinelli, ossia circa 7 mm. a crudo e 8 mm circa una volta cotta.
Lo spessore? Non è stato definito ufficialmente, ma è tradizione posizionarlo tra i 6 e gli 8 decimi di millimetro. Una follia? Ma figuriamoci, questa è pura arte!
La vera azdora romagnola: chi è?
Il gastronomo di Forlimpopoli, Pellegrino Artusi, le cui parole prendo sempre per oro colato, pur parlando con rispetto e reverenza della cucina bolognese, non menziona mai direttamente le celebri tagliatelle bolognesi. Si limita a citare i Bolognesi con un enigmatico “Conti corti e tagliatelle lunghe”, perchè per lui è stato sempre e solo “tagliatelle all’uso di Romagna”. Sarà che Artusi era così affezionato alla sua terra d’origine che non voleva concedere troppo credito ai cugini bolognesi? Oppure, in un gesto di sottile campanilismo, preferiva tenere le migliori tagliatelle sul lato giusto dell’Appennino? Certo maestro anche lei aveva il suo bel caratterino. Ma io sono convinta invece che l’Artusi conoscesse bene il segreto della bontà della tagliatella che sta nella manualità, nella tecnica e nel movimento del corpo dell’azdora, la regina della cucina romagnola.
Le nostre sfogline romagnole , con un movimento del matterello che sembra quasi una danza, creano tagliatelle talmente perfette da far invidia a qualsiasi pomposo chef stellato. Immaginate la scena, che è quella poi a cui assistevo ogni domenica mattina alla pensione Ada della mia zia Vina. E’ agosto, 35 gradi all’ombra, la azdora arriva in cucina alla buon ora, schiena dritta e mani sui fianchi. Si guarda intorno per vedere che tutti sia al suo posto come l’ha lasciato la sera prima e si appresta a creare, senza indugiare oltre: per lei il tempo è denaro. Con il grembiule ben stretto in vita affronta l’impasto con la determinazione di un generale che guida le truppe in battaglia. Le sue mani calde lavorano l’impasto con un’energia che farebbe invidia a un atleta olimpico, mentre il matterello scivola sulla sfoglia che pare un violino tra le mani del maestro.
Sua maestà la Tagliatella all’uso di Romagna
Una qualsiasi azdora non si limita a fare la pasta, ma la scolpisce, la plasma, la vive. È quasi una danza: una sinfonia di movimenti precisi, di colpi decisi ma al contempo delicati, che trasformano farina e uova in una sfoglia dello spessore perfetto. Nessuna macchina può eguagliare questa alchimia. Non c’è robot da cucina, per quanto avanzato, che possa competere con l’autorità delle mani della ‘zdora e la padronanza del matterello. Perché in ogni tagliatella c’è un po’ dell’anima di chi l’ha creata, un pizzico di amore e una generosa dose di esperienza tramandata di generazione in generazione. E chissà, magari è proprio questo segreto che Artusi ha voluto custodire gelosamente, lasciandoci il compito di scoprirlo morso dopo morso. Badate bene, l’azdora non è necessariamente una donna, né tantomeno di mezza età e sovrappeso.
Anche a casa mia c’è una vera ‘zdora, e non è mia mamma e tantomeno io, che non saprei nemmeno da dove iniziare con la pasta fresca. Paolo è l’indiscusso re (o regina) della nostra cucina. È lui la vera ‘zdora cattolichina che, in un qualunque pomeriggio domenicale, potrebbe decidere di tirare la sfoglia sul tavolo da pranzo. Lui è capace di mettersi a fare “due cappelletti” anche alle sei di sera, oppure di aprire la credenza e, in dieci minuti, amalgamare uova e farina, lasciando poi il panetto liscio e compatto a riposare per mezz’ora prima di tirare le tagliatelle a mano con il mattarello. La sua frase di rito? “E che ci vuole!” È con questo spirito che ogni volta decide di fare un piatto di pasta fresca per tutti. Quando dice che lo fa, state certi che, a pranzo o a cena, si mangia sicuramente bene.
Facciamo le tagliatelle?
Ingredienti:
700 gr. di farina tipo 00 e 300 gr. farina di semola
10 uova medie del contadino (in alternativa quelle gialle da pasta)
Bando alle ciance e affrontiamo la ricetta. Ricordate che servono gli attrezzi del mestiere, non ci si improvvisa ‘zdore in 5 minuti, quindi mattarello alla mano e che sia piuttosto lungo e di legno, tavola sempre in legno per fare la pasta fresca oppure un bel piano di marmo da poter sporcare a piacere. Per 1 kg e mezzo di tagliatelle, perchè noi le cose le facciamo bene o niente, servono 9 etti di farina e 10 uova medie. Se sono del contadino meglio, in alternativa ci si può accontentare di quelle gialle da pasta. Prima di tutto si crea una montagnetta con la farina, un vulcano in miniatura sul tavolo da lavoro. Al centro di questo capolavoro di ingegneria alimentare, si aprono le uova come se si stessero rivelando i segreti dell’universo.
Sì è questo l’atteggiamento da avere quando si fa la sfoglia, Paolo ne è portavoce e il suo sguardo dice tutto. Con una forchetta si inizia ad amalgamare gli ingredienti, come un artista che mescola i colori sulla tavolozza. Poi, arriva il momento in cui bisogna mettere via la delicatezza e iniziare a lavorare energicamente, trasformando quel miscuglio caotico in un panetto liscio, tondo e compatto, che verrà fatto riposare una mezz’ora sotto un telo di cotone spesso. E ricordate che l’impasto non deve essere duro, ma elastico, sodo e omogeneo.
Sua maestà la Tagliatella di Romagna
Una volta passata la mezz’oretta canonica, prendete la palla di impasto e adagiatela sulla spianatoia. Tirare l’impasto richiede la grazia di un ballerino e la forza di un body-builder: si arrotola il matterello sulla sfoglia, stendendola con movimenti ampi e decisi, fino a renderla sottile come un velo. Ricorda, la chiave è mantenere una pressione costante, come se stessi appiattendo tutte le tue preoccupazioni insieme all’impasto. Le ‘zdore a Cattolica e dintorni tirano la sfoglia sottilissima, quasi si vede in trasparenza, ma Paolo per accontentarmi la fa più spessa e la taglia più larga di una classica tagliatella.
Ora si può procedere arrotolando la sfoglia a fisarmonica per poi tagliarla con un coltello a lama dritta. Le strisce di pasta dovranno essere tutte della stessa larghezza: 7 mm. come vuole la tradizione, oppure a seconda del sugo da abbinare: larghe per un buon ragù, un pò più strette per un sugo di pesce o dell’orto. Con 1 etto abbondante di strisce si va a formare il così detto “nido di tagliatelle” che determina la porzione, quindi più avete fame, più fatelo abbondante: io propongo 120 gr. Adagiate i nidi su un vassoio di carta, saranno pronti per la cottura.
Sua maestà la Tagliatella di Romagna
Se non hai intenzione di consumare subito le tagliatelle, è importante prestare attenzione alla loro conservazione. Poiché l’impasto contiene uova, è consigliabile mettere i nidi nel freezer prima di cuocerli. In questo modo, una volta preparate in quantità, le tagliatelle potranno essere gustate in seguito senza problemi.
Le vecchie generazioni lasciavano asciugare i nidi di tagliatelle all’aria, consumandoli comunque entro la giornata. Per ottenere un risultato perfetto, bisogna “buttare giù” le tagliatelle solo quando l’acqua salata bolle vigorosamente. Mescolatele con delicatezza usando un forchettone separando i fili di pasta, per scongiurare che si attacchino. Dopo un minuto di cottura, scolatele rapidamente, ricordando di conservare un po’ di acqua di cottura per amalgamare il tutto con il sugo. E voilà, il pranzo è servito!
Tagliatella all’Artusi, ambasciatrice nel mondo
Ormai è un dato di fatto: la Romagna vede il suo ambasciatore nel messere Pellegrino Artusi, il vero supereroe della cucina italiana, senza bisogno di mantello o di superpoteri. Nato in Romagna, questo gastronomo del 19° secolo ha fatto più per l’unità d’Italia con le sue ricette che molti politici con i loro discorsi. Con il suo libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, ha unito nord e sud a colpi di ragù e cassuole, dimostrando che la vera diplomazia passa per la pancia. Un pioniere della cucina casalinga quindi, che, da metà ‘800, ha trasformato le casalinghe italiane in chef stellati e ha reso ogni pasto una festa nazionale. Insomma, se c’è qualcuno da ringraziare per la nostra passione per la buona tavola, è proprio lui, il maestro che ha reso la cucina italiana un’arte.
Ebbene sì, era l’agosto del 2020 quando Forlimpopoli si vestiva a festa per il bicentenario della nascita del leggendario Pellegrino Artusi. I festeggiamenti, che si sono protratti per giorni come parte della consueta Festa Artusiana, hanno avuto luogo nella solenne cornice di Casa Artusi, all’inizio di agosto. Ma questa edizione non è stata una delle tante: è stata speciale, con una novità che ha fatto parlare il mondo intero. E quale sarebbe, direte voi? La tagliatella, quella gloriosamente descritta da Artusi nella ricetta n. 71 “Le tagliatelle all’uso di Romagna”, è stata ufficialmente nominata ambasciatrice della Romagna nel mondo. È stata un’iniziativa carica di significato per la Romagna, come se la nostra amata tagliatella avesse ricevuto il passaporto per viaggiare e conquistare ogni continente.
La tagliatella “in versione Artusi” è ora pronta a diventare l’ambasciatrice gustativa della nostra terra, portando con sé l’essenza della Romagna in ogni angolo del pianeta.
Sua maestà la Tagliatella di Romagna
Gli abitanti di ogni luogo potranno farla propria, magari facendo un pellegrinaggio a Forlimpopoli o in Romagna per conoscere i posti da dove proviene e, chissà, forse riusciranno anche a imparare a pronunciare “tagliatella”. L’evento ha suscitato grande curiosità, attirando blogger e influencer internazionali che hanno seguito ogni mossa come fossero paparazzi affamati. Provenienti da ogni angolo del globo, dal Regno Unito agli Stati Uniti, dal Canada a Israele, dall’Australia alla Corea del Sud, fino alla Polonia, tutti erano collegati via Zoom per assistere alle lezioni virtuali di cucina dedicate alla ricetta 71. È stato quindi un vero e proprio summit mondiale della pasta, con meno diplomatici e più mattarelli.
Ogni partecipante, armato di curiosità e connessione internet stabile, ha cercato di carpire i segreti delle tagliatelle all’uso di Romagna. I commenti durante le lezioni virtuali andavano dal “Ma davvero ci vuole solo farina e uova?” a “Come faccio a evitare che il mio impasto sembri cemento?”. È stato un tripudio di entusiasmo e di domande, con qualche inevitabile pasticcio culinario. Come romagnola doc, non posso che essere orgogliosa di vedere la nostra amata tagliatella fare il giro del mondo. E mentre gli influencer impastano e tirano la sfoglia con la stessa grazia di un rinoceronte, posso solo ridacchiare e sperare che un giorno, magari, qualcuno di loro riesca davvero a pronunciare “tagliatella” senza sembrare che stia invocando un incantesimo magico.
E il condimento?
“Fate un battutino con due spicchi d’aglio e un buon pizzico di prezzemolo e l’odore del basilico se piace; mettetelo al fuoco con olio a buona misura e appena l’aglio comincia a colorire gettate nel detto battuto sei o sette pomodori a pezzi condendoli con sale e pepe. Quando saranno ben cotti passatene il sugo, che potrà servire per quattro o cinque persone, e col medesimo unito a parmigiano grattato, condite Le tagliatelle all’uso di Romagna.“ Poi c’è la versione al prosciutto. E se lo dice Artusi, deve essere buona anche quella!
Articolo di Lara Uguccioni
Sua maestà la Tagliatella di Romagna
Fonti e Citazioni:
– Foto “Tagliatelle all’uso di Romagna” dal sito /www.mywhere.it
– pastadimontagna.it
– Tra le tante cose lette sulla tagliatella, quello che più mi ha colpito è stato un articolo interessante ed ironico dell’ottima penna di Lamberto Sellieri su www.mywhere.it
Me le ricordo bene, molto bene, le vere tagliatelle fatte dalle sdore emiliane, quella pasta leggermente spessa ma non troppo(solo gli emiliani sanno esattamente come deve essere il giusto spessore), ruvida quel tanto che basta a raccogliere il ragù, uno dei grandi piatti della nostra cucina, troppo spesso imitati ( male) nel mondo.
Hai ragione da vendere Bru, le sanno fare solo gli italiani o chi ha imparato a farle da noi. Le ho mangiate a NY a dicembre ed erano molto buone… per forza il locale è di romagnoli e la “sfoglina” americana era supervisionata da loro (ma c’è da dire che era molto bravo il ragazzo).
Ah, ma non sono spagetti-bologneez? 😀
Scherzo ovviamente, le tagliatelle al ragù, che siano bolognesi o romagnole, sono davvero un’istituzione della cucina italiana e davvero non credo possa esistere una persona al mondo a cui non piacciano. E ovviamente mangiate in riva al mare Adriatico hanno ancora di più il loro perché!
👍
Mi ha molto divertito leggere questo articolo, dove l’ironia si mescola alla gastronomia e ad una storia italiana sorprendente. Grazie Lara, come sempre sai far entrare il lettore nel tuo mondo, e’ una dote meravigliosa.
Grazie Sabrina, mi segui dall’inizio di questa avventura e non posso che ringraziarti di cuore!
Ma nuoooo! Non mi puoi non fare la pasta! Anche perchè ha ragione Paolo: “E che ci vuole!”
La sfoglina è la mia professione di riserva… se tutto il resto non funziona posso sempre fare quello! In più ho il physique du rôle perfetto quindi…
Brava Kry, io posso cimentarmi nei sughi che mi vengono buonissimi, ma tirare la sfoglia… sono negata!
Alla Camera di Commercio di Bologna è stata persino depositata la ricetta e la misura della tagliatella bolognese, larga 8 mm da cotta e 7 mm da cruda. In Emilia-Romagna la cucina è una cosa seria 😉
Assolutamente serissima!!!
Che fame mi è venuta anche a quest’ora. Sento il sapore del ragù e la consistenza delle taglietelle non scotte sotto ai denti. Nonostante sia toscana anche da me per le feste sono tagliatelle, purtroppo di quelle industriali ma diciamo che mi accontento. Dopo questo articolo non mi resta che provare, non ce ne sono ‘zdora qui, verranno di grandezza e spessore diverso…ma è pur sempre un inizio!
Come la farai Francesca sarà un successo, sono sicura!
Grazie a te ho scoperto perché all’estero le chiamano “tagliatelli”, a parte un problema di pronuncia alla base, probabilmente si è diffusa la versione garzoniana in paesi come il Regno Unito dove è tutto un susseguirsi di “tagliatelli”, “linguini” ecc.
Però un bel piatto di tagliatelle fatte da un o una ‘zdora, adesso, lo mangerei volentieri.
Allora se passi da queste parti sei la benvenuta! 🙂
Ho letto da poco un libro intitolato “Le tagliatelle di Lucrezia” dedicato proprio ad una delle leggende sulla nascita della tagliatella. Abitando a Bologna da tanti anni la tagliatella è un must dei pranzi domenicali al ristorante (io mi sono cimentata un paio di volte ma come sfoglina faccio pena). Un piatto che in famiglia adoriamo. Poi sul ragù si apre un altro capitolo!!!
Infatti Valentina non ho toccato l’argomento ragù ahhahahhah … c’è da scrivere un altro articolo come minimo!
Non c’e’ niente da dire, le tagliatelle fresche con un buon ragu’ sono tra le cose piu’ buone che ci siano! Grazie Romagna!
Sottoscrivo Claudia!
Nonostante sia un prodotto amatissimo in Italia e nel mondo, non conoscevo la sua storia, ne le sue probabili origini. Mi piace pensare che siano stati gli etruschi, con la loro infinita saggezza, a dar vita a questa pasta fatta con farina di farro…e a tramandarla ai posteri in tutta la sua perfezione. Noi le mangiamo anche spezzate nel brodo!
Da noi Annalisa si mangiano con il classico ragù o con i fagioli in un bel sugo rosso tirato. Ma anche con il sugo di pesce sono speciali
Quando mi sono sposata la zia di mio marito emiliana doc mi ha regalato… il Pellegrino Artusi, immancabile nella cucina di ogni brava “rezdora” anche se acquisita. Io non mi ci metto proprio a competere con le donne emiliane e romagnole in fatto di tagliatelle, mi limito a gustarle come mi sono gustata la tua bellissima storia di questo piatto imperdibile della nostra tradizione italiana
Grazie Antonella, sono felice ti sia piaciuto l’articolo un pò ironico forse, ma l’ho scritto con il cuore. Il mio è tutto umorismo “romagnolo” 🙂