Massachusetts,  New England,  Si fa per parlare

L’incontro tra Moby Dick e Nantucket in Massachusetts

Indice

La vita di ogni uomo è come un viaggio attraverso il mare. Con le vele spiegate e una barca che non è mai abbastanza forte per affrontare l’immensità dell’oceano, ci si trova costantemente esposti al pericolo delle tempeste e al rischio dei naufragi. Abbiamo con noi solo le nostre forze per completare l’attraversata, una consapevolezza che rende questa metafora ancora più intensa e significativa. E’ nel confronto con l’ignoto e con la nostra vulnerabilità che troviamo il vero significato del viaggio. E in quel viaggio, c’è tutta la vita.

“La vita è un viaggio” non è però solo una frase fatta e trova una risonanza perfetta nelle pagine di “Moby Dick” di Herman Melville, dove il mare diventa il teatro delle grandi sfide e avventure dell’umanità. L’isola di Nantucket, in Massachusetts, da cui parte la leggendaria caccia alla balena bianca, rappresenta il punto di partenza di un percorso che non è solo fisico, ma anche esistenziale. Come nella vita, l’equipaggio del Pequod affronta tempeste, pericoli e incertezze, navigando attraverso acque inesplorate e affrontando la propria natura interiore. Melville utilizza il viaggio per esplorare temi profondi come l’ossessione, la lotta contro l’ignoto e il destino, trasformando il mare in una metafora della vita stessa, in cui ogni porto e ogni isola, come Nantucket, segna una tappa di crescita e scoperta personale.

L’era della caccia alle balene

Era il 1800 quando le grandi baleniere solcavano gli oceani per lunghi periodi, spesso per anni, navigando le acque dell’Atlantico, del Pacifico e dell’Artico alla ricerca dei giganti del mare. La caccia richiedeva grande coraggio e abilità, poiché i balenieri affrontavano pericoli immani, inclusi mari tempestosi, ghiacci polari e, non meno importante, l’enorme forza delle balene stesse. La vita a bordo delle navi era dura e pericolosa, caratterizzata da un lavoro intenso, condizioni di vita spartane e lontananza dalle famiglie per lunghi periodi, dato che partivano per stare in mare anche 4 interi anni. Ogni giorno era più difficile dell’altro, la monotonia e il pericolo potevano logorare anche il morale dell’uomo più risoluto.

Avvistare balene, lanciare lance, cacciare e poi processare i giganteschi cetacei a bordo, questi erano solo alcuni compiti che riguardavano i marinai. Le imbarcazioni erano infatti attrezzate per la lavorazione del grasso di balena, che veniva bollito nei trypots per estrarne un olio prezioso, processo che richiedeva turni di lavoro massacranti e continuo monitoraggio. Per quanto riguarda l’alimentazione invece, questa era semplice e monotona, ma nutriente. Si mangiavano prevalentemente gallette dure, carne salata, pesce secco, fagioli e piselli. La dieta era spesso integrata da ciò che l’equipaggio poteva pescare in mare o acquistare durante le brevi soste nei porti.

Leslie Adkin fotografo – 26 febbraio 1921 – Marinai cn le pentole chiamate Trypots -Isola del nord

Le gallette, dure come sassi e a volte infestate dagli insetti, erano una componente base dei pasti che accompagnavano la leggendaria zuppa di pesce. La fish chowder, che adoro mangiare ogni qual volta ne trovo occasione, era infatti uno dei pochi pasti caldi che veniva servito a bordo. Calorica e saporita è sempre stata apprezzata, anche una volta sbarcati a terra, servita nelle tavole calde, nei pub e nelle case. La razione di acqua dolce era invece limitata, spesso integrata con rum o birra per preservare le scorte d’acqua potabile. Non riesco ad immaginare quanto potesse essere dura rimanere mesi interi con la sete. Nonostante le difficoltà e l’incertezza, la possibilità di guadagni significativi rendevano evidentemente questa vita affascinante agli occhi dei molti uomini coraggiosi che la intraprendevano.

Le baleniere avevano una rigida gerarchia a bordo. Al vertice c’era il capitano, seguito dagli ufficiali e il caposquadra delle lance detto harpooner. Sotto di loro c’erano i marinai comuni e i ragazzi di cabina. Ogni membro dell’equipaggio aveva compiti specifici e doveva seguire le direttive degli ufficiali, mantenendo una disciplina ferrea per garantire il buon funzionamento della nave e la sicurezza durante la caccia. Nei momenti di riposo, i marinai spesso cantavano canzoni conosciute come sea shanties per sollevare il morale e coordinare gli sforzi collettivi durante le attività faticose. Queste canzoni erano ritmiche e ripetitive, ideali per mantenere il tempo durante il sollevamento delle vele o il tiro delle funi.

Stesso concetto degli spirituals cantati dagli schiavi nelle piantagioni di cotone: le intramontabili work songs, canti di lavoro.

I temi di queste melodie spaziavano dalle avventure in mare alle storie d’amore, fino ai racconti di terre lontane, creando un legame culturale e comunitario tra i marinai, in un ambiente altrimenti isolato e duro. Una famosissima sea shanty, una canzone popolare che ha guadagnato notevole popolarità negli ultimi anni grazie ai social media, è Wellerman. La canzone narra la storia di una baleniera e del desiderio dell’equipaggio di ricevere rifornimenti da una nave di approvvigionamento, conosciuta come “Wellerman”. Questa nave portava viveri tra cui zucchero, tè e rum, che erano particolarmente attesi dagli uomini in mare. La nave, a sua volta, porta il nome dai fratelli Weller, fondatori di una società di approvvigionamento nel XIX secolo in Nuova Zelanda.

Le parole del testo riflettono la dura vita a bordo e la speranza di conforto e sostentamento che rappresentavano questi rifornimenti. Wellerman si distingue per il ritmo coinvolgente e la melodia semplice ma potente, che rendeva a quel tempo più facile cantarla in gruppo, mantenendo così alto il morale e il senso di comunità tra i marinai. Nel tempo libero, per guadagnare un po’ di soldi in più o per portare un regalo alla donna amata, i più abili si dedicavano a intagliare i denti di balena alti circa 2 metri, gli ossi dei capodogli o le conchiglie. Ne sono nati gli scrimshaw lavori di straordinaria bellezza e ad oggi, di valore inestimabile.

Basti pensare che un dente di capodoglio intarsiato a bordo della baleniera Susan, è stato venduto a 10mila dollari negli anni ’70 e un altro a 100mila dieci anni dopo. L’interesse per questi piccoli oggetti in avorio è aumentato negli anni Cinquanta e Sessanta quando il presidente John Kennedy ha iniziato a collezionarli.

New Bedford e la sua Baleniera

Il New England, regione sulla costa est americana, vanta un ricco passato navale che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia degli Stati Uniti. Basti pensare allo sbarco della Mayflower a Plymouth che portò i padri pellegrini nel Nuovo Mondo, oppure ai porti di Boston, Salem, New Bedford, vivaci centri di commercio marittimo e di caccia alle balene. All’epoca d’oro dell’industria baleniera, tra il 1825 e il 1865, lungo le coste del New England erano registrate più di 700 navi baleniere e le città di New Bedford, a meno di 100 chilometri a sud di Boston, si contendeva con Nantucket, isola a circa 46 chilometri dalla costa, il titolo di porto più importante nella caccia a questi cetacei. All’epoca, le balene rappresentavano una fonte di immensa ricchezza. Dai capodogli si estraeva una grande quantità di grasso che, trasformato in olio, veniva utilizzato per l’illuminazione e la lubrificazione dei macchinari industriali.

Così New Bedford divenne presto nota come la “città che illumina il mondo” e negli anni ’40 del 19° secolo, con l’arrivo della ferrovia, la città ottenne un rapido accesso ai mercati di Boston e New York, prosperando economicamente. Questo periodo di ricchezza è testimoniato dalle eleganti residenze del County Street Historic District, costruite in vari stili architettonici, popolari nella prima metà dell’Ottocento, tra cui il federale, l’italiano, il greek revival e il colonial revival. In una di queste meraviglie dell’architettura americana, precisamente al 100 di Madison Street, oggi elegante bed & breakfast, Herman Melville passò alcuni mesi nel 1860. Era ospite della sorella Kate Hoadley che lo invitò a riposarsi dalle tensioni e preoccupazioni date dal soggiorno a New York.

la casa vista da fuori di Kate, ,la sorella di Melville, com'è oggi.
Chiamato Whalehouse oggi è un meraviglioso B&B

Melville, celebre autore di “Moby Dick”, attraversò un periodo di difficoltà personali e professionali a New York che lo spinse a cercare rifugio e riposo nella casa di Bedford. Dopo aver ottenuto un iniziale successo con i suoi primi romanzi, Melville si trovò a fronteggiare una crescente insoddisfazione critica e un calo delle vendite con le sue opere successive, tra cui proprio “Moby Dick”. Questi insuccessi letterari, uniti a difficoltà finanziarie e a problemi di salute mentale, aumentarono il suo stress e la sua frustrazione. Il clima letterario di New York e le pressioni della vita urbana divennero insostenibili, spingendolo a cercare un periodo di riposo e recupero. La casa della sorella a Bedford, con la sua tranquillità e lontananza dalle tensioni newyorkesi, rappresentò il rifugio ideale dove potersi rigenerare.

C’è un passaggio nel capitolo VI dell’iconico libro, dove l’autore ricorda proprio la bellezza di queste dimore storiche: “in nessun altro punto dell’ America troverete un numero maggiore di case patrizie, parchi e giardini più ricchi che a New Bedford”. La stessa casa di Kate, ora chiamata The Whalehouse, La Baleniera, è tanto imponente quanto bellissima. Risalente al 1855 è un palazzo storico egregiamente restaurato e mantenuto in ogni sua parte, dove è possibile soggiornare in stanze dai soffitti altissimi con una luce che prorompe tra gli arredi nuovi e le antiche finiture di pregio. Le case di Bedford erano un tempo residenze private lussuose che potevano essere mantenute solo grazie al grande commercio della caccia alle balene. Ma come si sa, nulla dura per sempre.

Nantucket un isola letteraria

Lo testimonia la legge non scritta dei balenieri, oggi motto della Guardia Costiera americana inserita nel logo del Nantucket Life-Saving Museum, il museo dei naufragi: “You have to go out, but you don’t have to come back”. Il dovere del baleniere era quello di uscire in mare non quello di tornare indietro. Per gli uomini di Nantucket infatti, imbarcarsi era un dovere, quasi un obbligo. Dopo il Wool Act del 1669 con il quale la corona inglese vietava il commercio della lana tra le colonie, l’isola, che era un vero paradiso per le pecore, aveva dovuto riconvertire la sua economia guardando verso il mare. La prima balena venne catturata dalla nave del capitano Hussey nel 1712 e nell’Ottocento, Nantucket gareggiò con New Bedford per il primato di porto baleniero.

L’isola diventò presto uno scrigno contenente sogni, quelli degli armatori, dei capitani, degli ufficiali, dei marinai e delle loro famiglie che, attraverso i guadagni dei viaggi in mare, potevano vivere e prosperare. Anche lo scrittore Melville ne subì il fascino e qui ambientò l’inizio del suo epico libro.

E’ dall’isola di Nantucket in Massachusetts che parte infatti la leggendaria caccia a Moby Dick, la balena bianca, un luogo che rappresenta il punto di partenza di un viaggio che non è solo fisico ma anche esistenziale. Come nella vita, l’equipaggio del Pequod affronta tempeste, pericoli e incertezze, navigando attraverso acque inesplorate e affrontando la propria natura. Ma perchè Herman Melville scelse l’isola di Nantucket come punto di partenza del viaggio raccontato in “Moby Dick”? Ebbene, questo splendido luogo nel 1800 era famoso per essere una delle principali capitali mondiali della caccia alle balene e, la sua posizione strategica nell’Atlantico settentrionale, lo rendeva un centro vitale per le partenze alla ricerca dei grandi cetacei in tutto il mondo.

una panoramica della costa del New England con una casa in tipico stile americano e la spiaggia sullo sfondo

Melville, scrivendo “Moby Dick” nel 1851, desiderava immergersi in questo universo intricato e spesso brutale, un’industria che per circa 2 secoli plasmò profondamente l’economia e la cultura del New England. Ispirato da una storia vera, l’autore utilizza il viaggio per esplorare temi umani profondi come l’ossessione, la lotta contro l’ignoto e il destino, trasformando il mare in una metafora della vita stessa, in cui ogni porto e ogni isola, come Nantucket, segna una tappa di crescita e scoperta interiore. Inoltre, Melville aveva un personale interesse per Nantucket e per la sua storia marittima. Avendo servito lui stesso a bordo di una baleniera, aveva vissuto in prima persona le fatiche e le emozioni dei marinai che solcavano i mari alla ricerca delle imponenti balene.

Nantucket rappresentava per Melville non solo un luogo concreto di partenza per il Pequod, ma anche un simbolo della resistenza umana contro le forze imprevedibili della natura e contro i propri limiti interiori. Riflessioni e narrazioni intrecciano i destini dei personaggi di Moby Dick con Nantucket e lo testimonia il Whaling Museum, uno dei numerosi musei locali dedicati alla cattura dei giganti del mare. Nantucket aveva inoltre un’atmosfera unica e un’architettura affascinante. Le strade acciottolate e le case in stile federale e greco, come quelle presenti nel County Street Historic District, hanno offerto allo scrittore una scenografia autentica e suggestiva dove ambientare il suo romanzo epico. Era inevitabile, per un uomo arguto e curioso come Melville, subire il fascino di un luogo che ad oggi vanta il maggior numero di case costruite prima del 1850.

L’intera città infatti è stata oggi dichiarata “National Historic Landmark” per via della conservazione perfetta delle costruzioni piuttosto austere, rivestite da tavolette di legno a falde, chiamate shingle, che col tempo e la salsedine presero una tinta tipicamente grigiastra. Sull’isola di Nantucket, l’attesa del ritorno delle navi era realmente carica di emozione e speranza, un momento sospeso tra la trepidazione e l’ansia. Mi pare quasi di vedere sulle tipiche terrazze delle abitazioni, le widow’s walk, le figure esili delle donne che scrutavano l’orizzonte con il cuore colmo di preghiere silenziose e desideri inconfessati. Le “passeggiate delle vedove” le chiamano, sembrano appollaiate sopra i tetti delle case rivolte al mare. Il vento salmastro sferzava i volti, portando con sé il profumo dell’oceano e il sussurro delle onde, mentre gli occhi cercavano tra le increspature dell’acqua il primo segno di una vela lontana.

In definitiva, la scelta di Nantucket come punto di partenza per il viaggio del Pequod in “Moby Dick” non fu casuale, ma rispecchiò l’interesse personale di Melville, per la storia marittima e per i temi profondi che il romanzo esplora. Oggi, con Martha’s Vineyard, Nantucket è una delle mete di villeggiatura preferite della borghesia newyorchese, ma fino al secolo scorso era il punto di partenza di rotte atlantiche dirette in Europa e a nord. Oggi, le balene continuano a essere il fulcro della vita delle cittadine di New Bedford e Nantucket. New Bedford ha istituito il Whaling National Historical Park, un’enorme area di 13 ettari nella parte bassa della città, vicino al mare, che include anche il museo con il più grande modello di baleniera al mondo, il Ladoga, costruito nel 1916 in scala 1:2.

Nantucket, già verso la fine dell’Ottocento, ha scoperto la sua vocazione turistica riconvertendo alcune case in alberghi e trasformando la fabbrica di candele nel Whaling Museum, che conserva la pressa originale per l’estrazione dell’olio e lo scheletro intero di un capodoglio. Accanto si trova il Lightship Basket Museum, famoso per i cestini fatti a mano dai guardiani dei fari galleggianti. Da maggio a ottobre, proprio da Nantucket, così come da Boston e altri porti del Massachusetts, si parte per avvistare le balene. Le escursioni, su barche di circa 30 metri dotate di sonar e con un osservatore scientifico a bordo, durano tre ore e conducono verso la Stellwagen Bank, una zona dalle acque più calde e ricche di plancton, cibo prediletto dalle megattere. Osservare da vicino questi enormi cetacei che saltano fuori dall’acqua è un’esperienza entusiasmante e indimenticabile, ve lo assicuro.

Tra gloriose avventure e controversie eterne

L’andare all’avventura, soprattutto durante l’epoca della caccia alle balene nel New England, esercitava un fascino irresistibile per molte persone, come se l’ignoto fosse una calamita che attirava l’anima umana. L’idea di solcare l’oceano sconfinato, di lasciare alle spalle la terraferma e i suoi limiti, incarnava una ricerca di libertà e di scoperta, che risuonava profondamente nel cuore di chi sentiva l’impulso dell’esplorazione. Per molti, l’avventura rappresentava una via di fuga dalla monotonia e dalle restrizioni della vita quotidiana, offrendo l’opportunità di mettersi alla prova, di scoprire mondi nuovi e di cercare fortuna in posti lontani. La vastità del mare e l’incertezza del destino avevano un fascino romantico e irresistibile, alimentato da storie di grandi esploratori e da un senso innato di curiosità e meraviglia.

Questa attrazione verso l’ignoto era, in parte, dovuta al fatto che molte persone sentivano di non avere nulla da perdere. Le dure condizioni economiche, le limitate opportunità di lavoro e le pressioni sociali spingevano gli individui a cercare altrove il loro destino. L’ignoto rappresentava una sorta di tabula rasa, una chance di ricominciare, di costruire qualcosa di nuovo con le proprie mani e il proprio coraggio. Inoltre, il fascino della paura stessa giocava un ruolo cruciale: il pericolo e l’incertezza dell’oceano amplificavano il senso di avventura, rendendo ogni successo e qualsiasi scoperta ancora più preziosi. La capacità di affrontare e superare le proprie paure, di navigare attraverso l’ignoto, dava agli avventurieri un senso di realizzazione e di pienezza che pochi altri aspetti della vita potevano offrire. In fondo, il desiderio di esplorare e di avventurarsi è intrinseco nella natura umana, un richiamo eterno verso l’infinito e il mistero.

La caccia alle balene rappresenta una parte efferata e controversa della storia americana, un’attività che, sebbene abbia contribuito significativamente allo sviluppo economico e industriale del New England nel XIX secolo, solleva oggi molteplici questioni etiche e ambientali. La crudezza della caccia, che comportava l’uccisione di questi maestosi cetacei per l’estrazione dell’olio e di altri prodotti, contrasta fortemente con le attuali sensibilità verso la conservazione della fauna marina e il rispetto per gli ecosistemi naturali. Mentre la caccia alle balene fu una fonte di prosperità e avventura per molti marinai e città costiere, lasciò anche un’eredità di devastazione ecologica che continua a influenzare il nostro rapporto con l’oceano e la sua biodiversità.

Oggi, osservare questi maestosi cetacei nelle loro acque naturali è un’esperienza che riempie di meraviglia, facendo emergere d’altro canto, la grandezza e la fragilità della vita marina. Tuttavia, mentre celebriamo il passato e il presente, dobbiamo anche guardare al futuro con responsabilità. L’umanità ha il dovere di proteggere i giganti del mare e il loro habitat, garantendo che le generazioni future possano continuare a meravigliarsi di fronte a tali spettacoli naturali. Preservare l’equilibrio dell’ecosistema marino non è solo una questione di interesse storico o turistico, ma un imperativo morale. Non dimentichiamoci mai che ogni passo verso la conservazione è un passo verso un mondo più rispettoso e sostenibile per tutti.

Articolo di Lara Uguccioni

Fonti e citazioni:
– www.thewhalehousenb.com

– mareonline.it
antica fotografia dei marinai con le typots dal sito collections.tepapa.govt.nz
– foto delle “widow’s walk” dal sito www.uponarriving.com
foto Whaling Museum dal sito fishernantucket.com

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Arianna
3 mesi fa

Come sempre è bello immergersi nei tuoi racconti su temi intensi e particolari. La caccia alla balena che oggi fa rabbrividire ha rappresentato in molti paesi una necessità soprattutto nei paesi nordici. Nel futuro, ma già nel presente la situazione è molto migliorata, rispetto e consapevolezza dell’habitat Marino è ormai una priorità in molti paesi

La Kry
La Kry
3 mesi fa

Sono tra quelle persone che solo a guardare una copia di Moby Dick sullo scaffale già sbadigliano.
Non è che il libro non mi sia piaciuto perchè ne ho un buon ricordo ma… ma meglio lasciarlo lì a prendere polvere!
In compenso visiterei davvero volentieri l’isola di Nantucket… il cugino del marito abita pure lì vicino… aspetto che annunci il suo matrimonio per approfittare dell’occasione!

Veronica
3 mesi fa

Moby Dick é uno di quei grandi classici che mi manca, così come non ho una cultura sulla caccia alle balene. Ho trovato molto interessante scoprire la gerarchia sulle navi e come una parte di storia sia ancora viva in alcune città.

ANTONELLA MARIA MAIOCCHI

Come sempre mi perdo a sognare leggendo i tuoi articoli che sono anche dei racconti. Avevo letto da ragazzina Moby Dick e ne avevo apprezzato soprattutto la parte delle avventure senza rendermi esattamente conto della metafora esistenziale che si dipana tra le pagine. Lavoro duro quello dei balenieri, non immaginavo così tanto. Complimenti per aver reso Nantucket una meta che vorrei visitare

Annalisa Spinosa
3 mesi fa

E’ stato davvero molto emozionante leggere il tuo articolo, ed è vero anche e soprattutto che bisogna tutelare a livelli esponenziali queste specie a rischio, nonchè il loro habitat naturale. Spero solo che le generazioni future facciano tesoro di questi testi educativi.

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