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Cibo e letteratura: racconti gastronomici

Il cibo non è solo una necessità, ma un vero piacere e chi pensa che sia poco importante parlarne, o non ne affini la personale cultura, si sbaglia di grosso. Metafora talmente potente che, a pensarci bene, è stata una sola mela a far cadere l’umanità in tentazione scatenando così il più terribile delle catastrofi. Ma il cibo è anche sinonimo di prosperità, di vita nell’abbondanza di una tavola ben imbandita, che come una vecchia amica, sa unire i commensali appianando la diversità di classe sociale. Nella letteratura mondiale il cibo è spesso il centro di fatti romanzati o aneddoti reali che incorniciano l’opera. E’ così da sempre, basti pensare alla colazione di Natale di Piccole Donne, al cappone di Bengodi del Boccaccio o alla burrobirra di Harry Potter.

Diversi sono i libri su questo affascinante argomento, come Menù letterari di Céline Girard o il più recente La letteratura in cucina dell’italianissima Giulia Ceirano. Ne potrei citare tanti altri perchè ne ho letti diversi, dato che l’argomento in questione mi affascina e mi stupisce ogni volta. Curioso è poi andare a rileggere opere classiche concentrandosi solo su questo particolare argomento, così vicino ad ognuno di noi, da far sembrare anche il libro più noioso degno di essere letto con attenzione. Analizziamo allora qualche racconto gastronomico, magari provando qualche ricetta o semplicemente andando a sbirciare nella cucina letteraria che inforna saggi con usi e costumi dell’arte culinaria nella storia della più bella letteratura di sempre.

In fin dei conti questo è un blog di viaggi, non è forse la gastronomia un viaggio nei sapori e nel gusto delle epoche e dei luoghi descritti?

Nel cerchio dei golosi con Dante Alighieri

Secondo il Boccaccio, Durante o Dante Alighieri aveva volto lungo, naso aquilino, grandi occhi e un accenno di scucchia. Era inoltre “di mediocre statura, e poiché alla matura età fu pervenuto, andò un alquanto curvetto, ed era il suo andare grave e mansueto…[ ] sempre nella faccia malinconica e pensoso”. Di ritratti fatti in vita non ne esistono, ci si rifà a questa descrizione presunta, così come non si conosce bene la sua vita, anch’essa avvolta dal mistero. Dalla moglie Gemma Donati, promesso sposo a dodici anni, ebbe tre figli che crebbero in una Firenze dilaniata dalla guerra civile fra Guelfi e Ghibellini. I Guelfi a loro volta erano divisi in due fazioni: neri e bianchi, fedeli a due grandi famiglie e Dante faceva parte di quest’ultimi.

Era il 1320, anno più, anno meno, epoca in cui si presume avvenne la pubblicazione dei primissimi ricettari. Si pensa quindi che il poeta volle inserire qualche tema culinario anche nella sua opera somma. Nella Divina Commedia però il cibo ha accezione negativa, visto come tentazione, causa del cedimento al piacere e al peccato di gola. L’atto di cucinare è una pena inferta ai peccatori, basti pensare ai dannati che bollivano nella pece  “… fanno attuffare in mezzo la caldaia, la carne con li uncin, perché non galli …” (XXI, 55-57). Questa scena delinea bene l’immagine dell’Inferno come una grande cucina dove i diavoli, mostruosi cuochi, ordinano ai loro sguatteri di immergere bene la carne dei dannati, affinché non affiori e cuocia perfettamente.

Cibo e letteratura racconti gastronomici

In Paradiso, invece, il menù cambia decisamente: “l’amore move il sole e l’altre stelle” ed anche qui il cibo è nominato così come la golosità, ma stiamo parlando di fame di beatitudine e di teologia. Il pane, che tanto viene disprezzato all’Inferno, tra i cherubini diventa “pan degli angeli”, e rappresenta la contemplazione estatica del divino. ”Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e com’è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.” Parole di un avo di Dante, Cacciaguida, che predice l’esilio da Firenze del suo discendente. Questi versi li troviamo nel Paradiso dove il poeta, legato alla sua patria, vuole simboleggiare la durezza e difficoltà della sua vita lontano dalla città natale.

Il pane sciocco o sciapo (senza sale) tipico della Toscana, diventa così metafora talmente importante da indicare il tormento di un uomo in esilio e la perdita delle abitudini, come il sapore del pane di casa propria. Il pane sciapo, più comunemente detto “sciocco”, è senza sale perché nel XII secolo Pisa e Firenze erano rivali, infatti Pisa bloccò un grande carico di sale che doveva arrivare a Firenze. Questa, come contrattacco, non si perse d’animo e inventò il pane senza sale. 

I 12 muffin al limone del Grande Gasby

La vita di Francis Scott Fitzgerald è molto simile a quella dei personaggi descritti nei suoi libri. Nato a Saint Paul, in Minnesota nel 1896, vive in quell’America dei favolosi “anni ruggenti” dove la frivolezza e gli eccessi sono il pane quotidiano. Sempre elegante e amante del lusso, Fitzgerald era sposato con Zelda Sayre, legati da un matrimonio burrascoso e precario, ma altrettanto romantico. Le continue scappatelle di lui portarono però Zelda, sofferente di schizofrenia, ad essere ricoverata in un ospedale psichiatrico. Oggi uno degli autori più apprezzati della letteratura americana, simbolo dell'”età del jazz”, scrittore e sceneggiatore, Francis Scott Fitzgerald ebbe in vita un successo importante che però non bastò a salvarlo da un malinconico tramonto.

Lo considero un magnifico narratore di quegli anni dissoluti ed inquieti che gli americani chiamano ancora roaring twenties, l’epoca del charleston e delle flapper girls, icone di stile, senza paura ne pudore. La sua profondità di osservazione scandaglia quel sogno americano degli anni ’20, descrivendo anche l’era della Grande Depressione, riuscendo a portare in evidenza quella disillusione che l’America cercava di nascondere. Uno dei suoi più bei ritratti degli anni d’oro americani è Il Grande Gatsby, dove le sfavillanti luci della città di New York fanno da cornice all’espansione culturale e industriale del 1922, oscurate in parte dal proibizionismo che stava da lì a poco arrivando.

Cibo e letteratura racconti gastronomici

Un uomo misterioso vicino di casa di Nick, il narratore del romanzo, organizza ogni sabato nella sua dimora sfarzose feste senza lasciare mai nulla al caso. Nella grande casa di Long Island si riversa tutta la New York che vuole divertirsi, ma ciò che desidera Jay Gatsby, è solo e unicamente l’amata Daisy, antico amore, sposata ormai ad un altro uomo. Lei però non partecipa mai alle sue feste e per poterla rivedere, cerca l’aiuto di Nick suo vicino di casa e cugino di Daisy. E’ così che un pomeriggio viene organizzato un tè da Nick e per l’occasione, Gasby che non lascia mai nulla al caso, si presenta all’appuntamento con vassoi, alzatine stracolme di dolcetti e torte per addobbare la casa del vicino.

Nel libro si parla dei dolcetti preferiti di Daisy, muffin al limone deliziosi e delicati, dall’inconfondibile profumo di agrumi. Ma nell’attesa, ogni cosa, per quanto perfetta, non sembra all’altezza della bellezza di lei.

Hai tutto quello che occorre per un… per un tè?»
Lo condussi nella dispensa dove scrutò con sguardo un poco critico la mia finlandese. Esaminammo insieme i dodici muffin al limone presi in pasticceria.
«Andranno bene?»
«Ma certo, ma certo! Sono stupendi!», e, in tono forzato, aggiunse: «…Vecchia lenza».
Intorno alle tre e mezzo la pioggia si affievolì, divenendo una nebbiolina umida, punteggiata come rugiada da sparute gocce sottili.

L’uovo: da D’Annunzio a Pirandello

Sul simbolismo dell’uovo nell’arte si possono scrivere pagine e pagine arrivando poi alla stessa conclusione. Dagli Egizi, passando per il Rinascimento, svoltando poi verso l’arte moderna, l’uovo assume mille significati ed è usato non solo per spiegare ad esempio, la prospettiva, ma è pura forma perfetta, contenitore di vita e associato alla nascita e alla rigenerazione. E dire che proprio l’uovo di Piero della Francesca da lui dipinto ne La Pala di Brera, mi salvò da un’esame di Storia dell’Arte non proprio felice. E se l’uovo cosmico è un mito che attraversa le epoche, quello filosofale di Bosch diviene il contenitore che gli alchimisti utilizzavano per operare le trasmutazioni della materia.

Si potrebbe andare avanti nel discorso, fino ad arrivare al 1885 quando Peter Carl Fabergé cominciò a realizzare per gli zar di Russia le famose uova di Pasqua in oro, argento, porcellana, vetro e pietre preziose. Per quanto mi riguarda, mi sono avvicinata all’argomento quando il mio professore di fotografia, iniziò a parlare degli esperimenti fotografici di Man Ray che ritraeva tutta l’essenzialità dell’uovo, vedendolo come oggetto dalla più pura pulizia formale. Non nego di aver provato a realizzare anche io alcune rayografie imitandone lo stile, affascinata com’ero dall’arte contemporanea. E se Dalì ne era quasi ossessionato, René Magritte lo usò per raffigurare se stesso mentre dipingeva un uccello guardando un uovo. Il pittore surrealista raffigura se stesso al presente mentre guarda al passato e dipinge il futuro. Geniale vero?!

Cibo e letteratura racconti gastronomici

«Chi conosce l’arte della frittata? “fretada rognosa”. Io, io solo, e per testimonianza celeste… Io mi vanto maestro insuperabile nell’arte della frittata per riconoscimento celestiale». Così scrisse Gabriele D’Annunzio, in un episodio da lui raccontato nel Libro Segreto. In villeggiatura con degli amici a Francavilla al Mare, l’ormai maturo poeta decise che ognuno avrebbe preparato la cena a rotazione. A D’Annunzio piaceva mangiare, ma non muoversi tra i fornelli. Così quando venne il suo turno, pensò che cucinare una frittata sarebbe stato facile. Al momento di doverla voltare nella padella, l’operazione non gli riuscì, così da ironico poeta che era, dichiarò che la frittata era venuta talmente bene che era stata rapita da un angelo.

Ho sempre amato D’Annunzio e il suo gaudente modo di vivere, così lontano dal mio da sentirlo però quasi amico e vicino. Già alle superiori ero affascinata dalla sua scrittura e ricordo bene questa frittata di 33 uova del pollaio di casa, cucinata in un caldo pomeriggio di luglio. Uscii con la padella all’aria aperta, scorsi la nova luna nel cielo, adunai la sapienza e il misurato vigore… e diedi il colpo, attentissimo a ricevere la frittata riversa, la frittata non ricadde. Nel volgere gli occhi al cielo scorsi nel bagliore del novilunio la tunica e l’ala d’un angelo, mi feci di gelo. L’angelo nel passaggio aveva colta la frittata in aria, l’aveva rapita, la sosteneva con le dita… la recava ai Beati, offerta di perfezione terrestre…”.

Cibo e letteratura racconti gastronomici

Tutt’altra importanza da all’uovo Luigi Pirandello nel Il giuoco delle parti dove un uovo fresco diventa l’argomento principale di una scena decisamente importante. Ricordo di aver visto a teatro l’opera e nonostante siano passati molti anni, quell’uovo gettato a terra lo ricordo molto bene. Una scenografia minimale, luci fredde a delimitare la scena, una conversazione ritmata tra uno dei protagonisti, un vecchio e offuscato Leone e l’amante di sua moglie, il passionale Guido. Leone è ormai un uomo sconfitto, sull’orlo di una lucida pazzia e quell’uovo proprio non riesce a mandarlo giù.  La natura dell’uovo è usata per illustrare, in modo figurato e ironico, una metafora antica. Dell’uovo fresco si può bere il contenuto e, una volta vuoto, si può ‘giocare’ col suo guscio. Il guscio vuoto è la forma della ragione, mentre l’uovo pieno è l’istinto.

Luigi Pirandello, geniale interprete della crisi dell’uomo e del disagio della società contemporanea, descrive con amarezza la quotidianità del vivere della gente comune. Insomma, con Il giuoco delle parti siamo nel pieno della poetica pirandelliana con un omaggio all’uovo che più devoto non potrebbe essere.

Divagazioni gastronomiche

Nei romanzi si mangia, questo lo sappiamo tutti e non c’è libro di letteratura senza cibo, o la descrizione di come si prepara un piatto o un cocktail, ad esempio in Lolita. Un morso al sandwich al formaggio svizzero del giovane Holden, la passione di Maigret per la birra, la densa minestra di frattaglie dell’Ulisse di Joyce, la gustosa zuppa di molluschi del capitano Achab in Moby Dick sono solo alcuni esempi. Che dire poi della madeleine di Proust che è diventata addirittura il termine per descrivere una parte della vita quotidiana, un oggetto, un gesto, un colore e in particolare un sapore o un profumo, che evocano in noi ricordi del passato.

Sto leggendo proprio ora l’ultimo libro di Stephen King, Fairy Tale, dove uno spezzatino gustoso viene servito al giovane Charlie nell’Altro Mondo. E’ descritto talmente bene che mi è venuta voglia di mangiarlo alle 11 di sera. Adoro parlare dei piatti che fanno da contorno ai libri più famosi di sempre, ma c’è anche qualche racconto meno conosciuto che vale la pena citare. Nel 1953 esce sulla rivista “Harper’s Magazine”, un breve racconto del magico Roald Dahl intitolato Il cosciotto d’agnello. In un salotto borghese di una casa qualunque, il marito poliziotto della signora Mary è sulla poltrona, appena tornato dal lavoro.

“Nel dipingere la scena Dahl usa tutti i colori della tenera dolcezza: lei, che è al sesto mese di gravidanza, ha “un’aria sorridente e calma”, e, quando il marito rientra a casa, lei gli versa da bere, e, prima di parlare, aspetta che lui beva fino in fondo, perché sa che solo allora al marito viene la voglia di parlare.” Così lo descrive in un ironico articolo Carmine Cimmino.

Cibo e letteratura racconti gastronomici

Tutto fa presagire ad un’ennesima bella serata in famiglia, quando il marito dice a Mary di volerla lasciare. Sconvolta dalla notizia, la giovane moglie va in cucina a preparare la cena, tira fuori dal frigo un enorme cosciotto d’agnello e, tornata in soggiorno, colpisce a morte il marito. Mary capisce subito che a questo punto, deve interpretare una “scena madre” se non vuole essere arrestata. Dopo essere andata a comprare il contorno per la cena, assicurandosi di sembrare la moglie più devota del mondo, chiama la polizia. I colleghi del marito trovano una donna sconvolta, distrutta, ma nessuna traccia dell’arma del delitto viene scoperta. E’ così che si fa l’ora di cena, il cosciotto che era stato messo in forno è ormai cotto a puntino e la storia finisce che Mary invita i poliziotti a mangiare.

Cosa dire, se non è un delitto gastronomico questo!

Il bello della scrittura è esattamente riuscire a descrivere non solo le situazioni, ma le emozioni, come quelle date dal gusto della buona tavola. Riuscire nell’intento di narrare ciò che si prova è come fare una magia, le parole prendono vita nella nostra mente e ci accompagnano spesso per tutta la vita. Quasi sempre i libri nascono per amore così come le ricette, l’ennesimo filo che lega ogni cosa ha stretto a se anche la letteratura e la gastronomia. Quello che è certo è che ogni volta che cucino un risotto alla milanese penso a Gadda ed uso solo il tipo Vialone, come indica lui. Ovviamente guardo in cielo per vedere se arriva un angelo mentre faccio una frittata e quello spezzatino di coniglio, ho deciso che devo provare a cucinarlo. Speriamo venga altrettanto gustoso come quello preparato, con tanto amore, dalla signora Dora.

Articolo di Lara Uguccioni

Non c’è amore più sincero di quello per il cibo.

George Bernard Shaw

Cibo e letteratura racconti gastronomici

Fonti e citazioni:
La Divina Commedia
accademiaitalianadellacucina.it
artribune .com
ilmediano.com

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Sara Slovely.eu
1 anno fa

Oddio, i muffin al limone! Me ne ero completamente dimenticata che fossero nominati in quel romanzo! E pensare che, proprio dopo aver letto Il grande Gatsby, avevo cercato la ricetta e ho provato a farli a casa. Ecco, adesso ricordo perché me ne ero dimenticata… sono venuti un disastro! Mai più rifatti.

Paola
1 anno fa

Bellissimo questo viaggio tra pagine di letteratura e piatti della tradizione. La tavola ha sempre unito famiglie e cambiato la storia. È un parallelismo fantastico.

Raffaella
1 anno fa

Bellissimo il tuo articolo dedicato ad una delle mie più grandi passioni. Perchè per me il cibo non è una semplice fonte di sostentamento, ma è un modo per imparare un’infinita di anedotti, storie e tradizioni. Ecco perchè quando viaggio dedico sempre molto tempo a girare nei mercati gastronomici e a fare dei corsi di cucina. Dopo queste esperienze mi sento proprio arricchita.

Eliana
1 anno fa

É incredibile come la etteratura si accosti così bene alla gastronomia: che si tratta di opere antiche o di opere più moderne moltissimi grandi classici e autori di spessore hanno trattato cibo, prelibatezze e ricette in maniera poliedrica e d’ispirazione!

Bru
Bru
1 anno fa

il cibo è sperimentare una cultura diversa, è amore, vizio, gola e voluttà, è la gioia di riunirsi intorno a una tavola o passeggiare gustando del cibo di strada.
bellissimo articolo come sempre

Arianna
1 anno fa

Ottimo argomento il cibo, ti porta direttamente in un luogo anche attraverso la scrittura concordo, anche a me colpiscono le descrizioni di alcuni piatti che ti fanno vivere i luoghi, ottima idea, post insolito e originale

Paola Nuvolone
1 anno fa

Che bell’articolo… il cibo da sempre è sinonimo di convivialita, ma io non posso non pensare alla madeleine di Proust e al significato profondo dietro un semplice sapore!

Libera
Libera
1 anno fa

Quanta verità in quello che scrivi. Il cibo è veramente il protagonista e non solo in cucina. Detto ciò, mi piacerebbe moltissim assaggiare i muffin al limone, finora non li ho mai provati ma devono essere ottimi.

Antonella Maiocchi
1 anno fa

Un articolo bellissimo con riferimenti letterari davvero raffinati! Ho adorato i muffins di Gatsby! Il cibo e’ spesso protagonista nei romanzi e diventa a volte un segno di riconoscimento dei personaggi

Annalisa Trevaligie-Magazine

Il cibo, da che esiste il mondo, è sempre stato motivo co convitto e convivialità. Giusto quindi che venga celebrato e acclamato, nei libri e nella vita, in ogni modo possibile. Ho letto con ogni senso il tuo articolo ma ad averne la meglio è stato il gusto.

Erika
1 anno fa

Articolo interessantissimo, letto veramente con piacere! Complimenti!

Sivia The Food Traveler

Complimenti per questo articolo che ho letto molto volentieri: perché amo il cibo ma soprattutto perché adoro il tuo modo di scrivere.
Trovo che il cibo spesso diventi un protagonista in un racconto o in romanzo, e anche se è un “personaggio silenzioso”, la sua voce si fa sentire. Sai che spesso mi capita di leggere la descrizione di un pasto, ma anche solo di un piatto, e di avere l’impressione di sentirne il sapore e il profumo? Di recente mi è capitato con i romanzi di Cristina Cassar Scalia dove si parla tantissimo della ricca gastronomia siciliana.

Tamara Bonfrate
1 anno fa

Un articolo molto bello, l’ho letto tutto d’un fiato! Non avrei mai pensato che il cibo potesse avere così tanta importanza

Veronica
1 anno fa

Il cibo diventa un attimo di convivialità in ogni contesto, persino quello letterario, dove spesso non pensiamo a quanto possa essere importante anche in scene dove alcune ricette sono solo marginali.

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